Antonella Palermo – Città del Vaticano
Nell’ambito della XVII edizione del Festival dell’Economia che si chiude il 5 giugno, a Trento, monsignor Nunzio Galantino, Presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, è intervenuto ieri sera sui temi legati a quella che ormai viene definita l’economia di Francesco, un modello che rilancia come imprescindibili la lotta alla povertà e alle diseguaglianze, il bene comune, l’istruzione, l’ecologia. E che pone al centro non solo il ‘produrre’ ma il ‘prendersi cura’:
Monsignor Galantino, come sintetizzare la ‘rivoluzione economica’ del Papa?
La proposta della cosiddetta “Economia di Francesco” si inquadra innanzitutto in una cornice che assolutamente non è di tipo teorico, di tipo romantico. Parte da una constatazione: non ci sono due crisi, una sociale e una ambientale. C’è una sola crisi, invece, ed è una crisi complessa: è la crisi socio-ambientale. La pandemia ha fatto venir fuori un dato: il denaro, la ricchezza non sono buoni o cattivi. Dipende da come li si utilizza. Durante il periodo della pandemia ci sono stati alcuni che hanno messo in atto dei meccanismi come moltiplicatori di ricchezza ma solo per incrementare i propri guadagni. Mentre c’è stato chi con il denaro ha creato opportunità, piattaforme per la condivisione. Quindi, attenzione, bisogna superare i manicheismi.
È dunque praticabile il modello di Francesco a livello economico?
Esistono flussi finanziari che sono andati, soprattutto in questo periodo, per esempio nella direzione del rispetto dell’ambiente, dell’impatto sociale, che hanno mostrato una governance trasparente. Ma c’è anche chi di questo non ha saputo cosa farsene. Il Papa ci invita a fare una cosa: come è cresciuta una grande consapevolezza nei confronti delle tecnologie per l’energia pulita, bisognerebbe che crescesse in maniera più decisa anche una affezione, una scelta per prodotti finanziari puliti. Sono prodotti che mettono al centro le persone. I tre pilastri della cosiddetta “Economia di Francesco” sono proprio il rispetto dei luoghi, il rispetto delle persone, il rispetto delle relazioni. Quando l’unico obiettivo che si vuole raggiungere è quello del guadagno allora evidentemente si va verso una strada sbagliata.
Viene alla mente la questione relativa al sommerso… ci si chiede: tutto ciò che è legale è automaticamente giusto?
Assolutamente no. C’è un gran parlare, per certi versi giustificato e lodevole, di impegno per la legalità… Attenzione, però: sul piano del significato delle parole, non tutto ciò che è legale è giusto. Molto spesso le leggi sono frutto di compromesso e il compromesso non ha sempre a cuore la giustizia o tutta la giustizia. Allora, possiamo trovarci di fronte a delle leggi che purtroppo non hanno a cuore, per esempio, la giustizia della quale devono necessariamente godere gli ultimi, i più poveri, quelli che non contano niente.
Torniamo alla finanza. Il Papa più volte ha ripetuto che la finanza deve mettersi a servizio della gente, evitando le speculazioni. Esorta che sia giusta, sostenibile, inclusiva. Perché non è sempre così?
Non è così perché in fin dei conti c’è un fondo di egoismo e di individualismo nelle persone ma anche nelle strutture. Questo è il dato fondamentale. L’unica strada che esiste per superare questo orientamento – chiamiamolo come deve essere chiamato – peccaminoso, perché fa il male e non il bene comune, è liberarsi da atteggiamenti ideologici mettendo al centro volti, eventi concreti, “storie” concrete con la ‘s’ minuscola. Anche i processi finanziari, economici, gli algoritmi della finanza non possono girare alla larga da questi volti. Quando il Papa nella “Evangelii gaudium” dice che i poveri sono il ‘criterio teologico’, vuol dire che io devo cominciare a giudicare la mia coerenza evangelica con la scelta che faccio di mettere il povero al centro delle mie decisioni. Altrimenti il Vangelo diventa ideologia. E quando il Vangelo diventa ideologia, diventa non solo pericoloso, ma iniquo.
Ricordiamo quando, nel marzo scorso, il Papa arrivò a considerare scandalosa, ‘una pazzia’, la decisione da parte di alcuni Stati di spendere il 2% del Pil in armamenti. “Io mi sono vergognato”, disse. Come si esce da questa spirale: guerra-spese militari?
È una spirale, certo, che dobbiamo avere il coraggio di spezzare con criteri culturali diversi. Nessuna guerra è mai finita con un’altra guerra. Basterebbe capire questo per comprendere che la scelta del 2% ci porta sulla strada sbagliata, allontana la soluzione dei problemi, anzi tende a standardizzare, a congelare i problemi. Non è un caso che alcuni uomini e donne che hanno fatto della non violenza il loro motivo di vita, le loro storie richiedono davvero una conversione di vita, un contagio tra di noi. È molto più facile, in un mondo come il nostro che vive di semplificazioni, dire: “Aumentiamo del 2% le risorse per accrescere gli armamenti”, e non dire: “Quel 2% si potrebbe investire per dare la vita”.
Sempre a proposito di guerra e crisi economica innescata dalla stessa guerra, lei come definisce la situazione globale oggi? Peraltro proprio in questi giorni il Papa ha ammonito: “Non si usi il grano dell’Ucraina come arma di guerra”…
Può sembrare demagogia, ma chi non capisce che questa guerra, come anche le altre 64 in atto in questo preciso momento nel mondo, è una follia? Il dramma è che quando si perde di vista la centralità della persona, soprattutto dei fragili, allora tutto può diventare arma. È quanto avviene anche nelle relazioni: quando si acuisce la conflittualità, si mette in atto l’arma della calunnia. Ecco, io penso che il tema del grano, in questo contesto particolare, è come il tema della calunnia spietata nell’ambito delle relazioni tra persone, che va ad ammazzare l’altro.
Domenica entra in vigore la riforma della Curia, nel quadro più generale della riforma avviata in Vaticano dal Papa. Sugli aspetti economici quali precisazioni può offrirci?
Il dato fondamentale che vien fuori dalla “Praedicate evangelium” sotto il profilo economico è che tutti gli organismi di Curia, compresi quelli economici dell’amministrazione sono tutti orientati alla evangelizzazione. Significa che io devo amministrare il Patrimonio della Santa Sede in modo tale da non minare la credibilità, la reputazione della Chiesa. Altrimenti l’evangelizzazione viene ritardata. Una Chiesa non credibile sul piano dell’amministrazione è una Chiesa non credibile nemmeno quando evangelizza. È dunque importante che anche l’amministrazione si senta a servizio dell’evangelizzazione nella misura in cui amministra in maniera trasparente, equa, rispettosa di tutti e di tutto. Va in questa direzione anche il tema della pubblicazione del bilancio. L’anno scorso lo abbiamo presentato per la prima volta, ora lo ripresenteremo a luglio. In questa direzione va anche la pubblicizzazione del pagamento delle tasse. Questa leggenda che la Chiesa non paga le imposte è una brutta leggenda che purtroppo viene alimentata qualche volta anche dalla nostra incapacità di comunicare. Soltanto l’Apsa paga oltre 9 milioni di imposte l’anno. Ma poi ci sono le imposte del Vicariato di Roma, della Conferenza episcopale italiana, degli enti religiosi. Queste cose bisogna dirle perché vuol dire creare le condizioni per cui quando la Chiesa annunzia il Vangelo possa essere credibile e non essere ritenuta incoerente.