Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
Nei Vangeli l’ascensione di nostro Signore è affidata alle poche parole di Luca e Marco:
Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo (Lc 24, 51).
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio (Mc 16, 19)
Entrambi i Vangeli si chiudono con l’ascesa del Cristo in cielo e con gli Apostoli che cominciano il loro cammino di predicazione, e si legano alle prime parole degli Atti che aggiungono dei particolari:
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo (1, 9-11).
Sono poche parole ma straordinariamente concrete, capaci di farci letteralmente visualizzare l’evento.
Una iconografia diffusa
Non stupirà, quindi, il motivo per il quale nell’arte l’Ascensione è così ricorrente. Ci concentreremo soltanto su un particolare tipo di iconografia: quella con Cristo di profilo e non in posizione frontale come in gloria di derivazione bizantina, che ritroveremo per tutto il corso del tempo e molto diffusa nei secoli, e con poche variazioni rimarrà immutata perfino nell’arte barocca.
A Roma la più antica Ascensione, nelle catacombe di San Sebastiano
Una rappresentazione dell’Ascensione la ritroviamo a Roma, nelle Catacombe di San Sebastiano. Un’immagine ormai evanescente ma chiara. Contro un cielo di nubi purpuree si distingue la sagoma di profilo del Signore, con le vesti come agitate dal vento. Il piede destro è ancora a terra e l’altro poggia più in alto, su una sporgenza rocciosa con il ginocchio piegato, come a prendere lo slancio, raffigurando esattamente il momento in cui il Signore sta per staccarsi da terra, per afferrare la mano di Dio che spunta dalle nubi e tirarlo a sé. È un’immagine di straordinario realismo ed efficacia. Intorno, due discepoli guardano sbigottiti. È l’immagine conosciuta più antica, risale al IV secolo.
Gli sguardi di Giotto
Come abbiamo letto nei Vangeli, una parola ricorre più volte: cielo. Anzi negli Atti si ripete per quattro volte e ben tre all’interno di una stessa frase. Così, questa iconografia appare perfettamente aderente al racconto evangelico. Una letterale messa in scena del racconto fatto di parole. Questo tipo di rappresentazione continua con altri esempi posteriori e culmina nell’affresco di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni.
Sembra di rivedere il calco della pittura romana, chiaramente arricchito di particolari, come gli angeli, la presenza di molti più apostoli e Maria, al centro vestita di scuro. Cristo presenta la stessa postura delle gambe e delle braccia della pittura di San Sebastiano, ma poggia i piedi su una nuvola, la stessa che lo nascose alla vista degli apostoli ricordata dagli Atti.
Le sue mani sono letteralmente tagliate fuori dall’affresco, dandoci l’impressione che tra pochi attimi sparirà nel cielo. Una soluzione a cui si ricorre spesso nelle figurazioni di ogni tempo per dilatare in modo illusorio lo spazio circoscritto dalla cornice di una data opera – di un quadro, un affresco e in modo diffuso delle miniature – e portarci a immaginare un’azione imminente, in movimento.
Una sinfonia di mani e di sguardi
L’affresco di Giotto ci appare come una sinfonia di mani e di sguardi ma, a parte quelli di alcuni angeli, tutti gli occhi sono puntati verso il vertice della composizione, oltre le mani del Cristo. Guardano tutti verso il cielo. Un tratto distintivo nella pittura di Giotto è lo sguardo. Se osserviamo gli altri affreschi degli Scrovegni o nella Basilica superiore di Assisi ci colpiscono gli scambi di sguardi tra le figure. Si guardano negli occhi e con questi comunicano intensamente. Nell’Affresco dell’Ascensione, come detto, a parte qualche angelo, nessuno si guarda, nessuno è stupito e guarda l’altro come nel caso di iconografie affini ma diverse, il caso della Pentecoste o della Risurrezione. In questo affresco tutti sono fissi con gli occhi e la mente completamente immersi nella grazia del cielo.