Livatino beato, un anno dopo: una camicia insanguinata che parla di vita

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

La forza e l’attualità della testimonianza del beato Rosario Angelo Livatino, il primo magistrato salito agli onori degli altari nella storia della Chiesa, il 9 maggio 2021, sta anche nella reliquia della sua camicia azzurra a quadri, ingrigita dal sangue rappreso. Chiusa in una teca d’argento con le parole “Codice penale” e “Vangelo” alla base, la piccola camicia indossata dal giudice la mattina del 21 settembre 1990 quando, sulla statale Caltanissetta-Agrigento, venne crivellato di colpi dai sicari dei mafiosi agrigentini della “Stidda”, non parla più di morte ma di vita.

La “peregrinatio” della reliquia in tutta la Sicilia

Di una vita “piena e donata, una vita vissuta nel compimento del proprio dovere e nella straordinaria capacità di mettersi ‘Sub Tutela Dei’, sotto lo sguardo di Dio”, come quella del trentottenne magistrato di Canicattì, alto un metro e sessanta, che ha usato la fede per fermare la criminalità organizzata. Ne ha parlato così un sacerdote siciliano, don Gero Maganello, durante una tappa della “peregrinatio” del reliquiario, a inizio marzo, nelle parrocchie di Burgio, Villafranca Sicula e Lucca Sicula. 40 chilometri a sud di Corleone.

Don Livatino: giovani “affamati” della sua testimonianza

Quello del pellegrinaggio della camicia insanguinata del beato Livatino, iniziato il 19 settembre 2021 dalla sua Canicattì e ancora in corso, con tappe anche in Puglia, è stata infatti l’occasione per molti, soprattutto giovani e giovanissimi, di conoscere meglio la figura di questo uomo “innamorato di Dio, dei suoi genitori e della giustizia, che cercava la normalità del bene e aveva fatto voto di ‘camminare sempre sotto lo sguardo del Signore””.  Lo sottolinea a Vatican News don Giuseppe Livatino, postulatore diocesano per la causa di beatificazione e direttore della Radio diocesana Concordia. Don Giuseppe, che è anche rettore della chiesa di San Giuseppe a Canicattì, non è parente del giudice martire, ma dal 2011 al 2018, ha studiato per il processo canonico tutte le parole scritte sulle sue sette agendine dal magistrato. Ha ascoltato colleghi, familiari, e testimoni, preparando una istruttoria diocesana di più di 4mila pagine.

I due presunti miracoli per la causa di canonizzazione

Don Livatino guarda anche alle prossime tappe della causa di canonizzazione, per la quale andrà al più presto verificata l’autenticità di due presunti miracoli attribuiti all’intercessione del “piccolo giudice”. Quello già ben noto della guarigione di Elena Valdetara Canale, lombarda di Pavia, affetta da un linfoma di Hodgkin diagnosticato nel 1993, che secondo i medici l’avrebbe condotta alla morte in meno di due anni. La donna, che oggi ha più di 70 anni, ha raccontato di aver visto in sogno un giovane in vesti sacerdotali, che le annunciava la guarigione nel novembre ’93. Dopo aver riconosciuto in Livatino il giovane, da una foto uscita nel ’95, per il quinto anniversario della morte, il 21 settembre chiese a Dio, durante la Messa, la guarigione dal linfoma (era ormi allo stadio terminale) “tramite l’intercessione di Rosario Livatino”. E il 20 settembre dell’anno successivo, le venne certificata la remissione clinica e radiologica completa. Il secondo fatto inspiegabile è del marzo 2021, dopo l’annuncio della beatificazione a fine dicembre 2020, e riguarda una dirigente scolastica di Caltanissetta, guarita da una gravissima patologia all’occhio. Qui l’intervista completa a don Giuseppe Livatino.

Ascolta l’intervista al don Giuseppe Livatino

Quali frutti ha portato in quest’anno nell’agrigentino e in tutta la Sicilia, la testimonianza del beato Livatino?  

Dopo quasi 30 anni di silenzio, già l’annuncio della beatificazione e poi la proclamazione a beato del 9 maggio scorso, hanno portato diversi frutti, copiosi e anche secondi frutti. L’attenzione da parte della cittadinanza di Canicattì, ma anche di tutta la diocesi, soprattutto nella fase della “peregrinatio” della reliquia del beato, la camicia che lui indossava nel giorno del suo sacrificio, hanno fatto vedere veramente un’attenzione particolare. Io ho partecipato a diversi momenti di questo pellegrinaggio, e devo dire che, a partire dai bambini della scuola elementare per arrivare fino agli adulti, c’è stata davvero una grande attenzione e soprattutto ho notato una curiosità particolare di conoscere meglio la realtà di questo giovane magistrato, che attualmente è già conosciuto in tutto il mondo. La beatificazione infatti ha portato veramente ad un’esplosione di conoscenza della testimonianza del beato e quindi cominciano a vedersi anche i frutti e si vedranno soprattutto in futuro.

Come si è cercato di tenere viva e di far conoscere questa sua testimonianza in quest’ anno, oltre il pellegrinaggio della reliquia?

Ci sono stati diversi momenti, diverse iniziative. Io sono stato invitato a molte di queste, non solo nella provincia di Agrigento ma anche altrove. Sono stati momenti di incontro con i giovani e soprattutto nelle scuole,  con un’attenzione particolare, da parte degli studenti, nei confronti della testimonianza del giudice Livatino, sia dal punto di vista cristiano che dal punto di vista professionale. C’è stata veramente una grande fioritura di iniziative, ovunque, fino al punto che purtroppo si è dovuto dire di no ad alcune di queste perché non c’era la possibilità materiale anche di partecipare, però per quanto è stato nelle nostre possibilità siamo stati presenti in molte occasioni sia l’associazione Livatino, sia io come postulatore diocesano, sia il responsabile della peregrinatio della reliquia.

Papa Francesco, incontrando recentemente il Consiglio Superiore della Magistratura italiana ha sottolineato l’insegnamento di Rosario Livatino sul rigore e coerenza nella giustizia, ma anche l’umanità verso i colpevoli e poi il giorno della beatificazione, all’Angelus, aveva sottolineato il suo impegno a giudicare, non per condannare ma per redimere. Questa testimonianza del beato Livatino fa breccia anche nel mondo della magistratura e delle carceri siciliane?

Certo, indubbiamente. Anche perché il Papa lo ha più volte citato, come ha fatto nell’udienza al Centro Studi Livatino di Roma del 29 novembre 2019, quando ha citato gran parte della conferenza di Livatino su fede e diritto. Allora il beato esprimeva in modo particolare questa necessità di mettere insieme al concetto di giustizia quello di misericordia. E questi sono gli ideali sui quali deve andare avanti anche la nostra società: non è un problema, appunto di punizione, quanto un problema di pena che deve essere strettamente connessa al concetto di redenzione e quindi di riabilitazione del soggetto. Abbiamo sentito le ultime statistiche che ci parlano purtroppo di una recidiva altissima, di detenuti che dopo aver scontato la pena e liberati, tornano a fare gli stessi reati. Vuol dire che il sistema carcerario italiano attualmente ha ancora bisogno di aggiustamenti. Ed era il principio che ha guidato anche l’attività di magistrato di Rosario Livatino. Per lui il problema non era di quello di togliere di mezzo qualcuno per un certo periodo di tempo, solo perché andava punito per i reati commessi, ma piuttosto quello di far comprendere il male commesso al corpo sociale e quindi dargli la possibilità di redimersi. E quindi di rientrare, perfettamente riabilitato, all’interno del corpo sociale. E qui vanno fatti ancora molti passi in avanti.

Come procede il cammino verso la canonizzazione?

Dovrebbe procedere in maniera abbastanza veloce perché abbiamo notizie e certificazioni di due presunti miracoli attribuiti all’intercessione del beato e quindi a breve il Tribunale ecclesiastico diocesano dovrebbe iniziare un nuovo processo su questi eventi definiti prodigiosi per verificarne la veridicità e quindi poi passare la documentazione alla Congregazione per le Cause dei Santi. E questo porterebbe appunto alla fase finale, che è quella della canonizzazione del beato Rosario Angelo Livatino.