Paglia: serve più energia della politica, troppo presa sulla via delle armi

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Antonella Palermo – Città del Vaticano

La fragilità come condizione umana e istituzionale la cui consapevolezza, nella contemporaneità attraversata dalla guerra, deve indurci a ricalibrare agende politiche, relazioni, azioni di singoli, comunitarie e internazionali. E’ quanto emerso nel corso del panel sul tema “Fragile dunque prezioso” che si è tenuto questa mattina presso la sede del Dicastero per la Comunicazione e in cui è stato presentato il libro di monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, “La forza della fragilità” (Editori Laterza). Sono intervenuti la senatrice Valeria Fedeli e il vicedirettore del Corriere della Sera, Federico Fubini.

“Abbiamo mai pensato di fare un Sinodo per gli anziani?”

Soffermandosi sulle potenzialità di cui sono portatori gli anziani nelle nostre società – soggetti vulnerabili ma non di scarto – monsignor Paglia riprende e rilancia considerazioni che stanno particolarmente a cuore a Papa Francesco il quale di continuo parla della necessità di mantenere vivo il legame intergenerazionale. “C’è un pensiero che fa fatica a sparire: che il pieno dell’umano sia la giovinezza”. E il presule dice: “Abbiamo mai pensato di fare un Sinodo per gli anziani, visto che siamo anche i più numerosi?”. Insiste: “Nessuno autonasce e tutta la vita è bisognosa di aiuto. Il mito dell’autosufficienza è pericolosissimo perché frammenta, polverizza le relazioni e mette sugli altari quell’ego che diventa una nuova religione, il culto dell’io”. “Gli anziani sono considerati un ‘naufragio’, debolezza – aggiunge – mentre invece c’è bisogno di una rivoluzione culturale ampia”. Gli fa eco Fedeli che sottolinea: “Ogni tempo della vita è una risorsa, occorrono investimenti maggiori, sia in competenze che in qualità”, per valorizzare gli anziani”. 

Più energia della politica, piuttosto che ricorrere alle armi 

Le preoccupazioni per la guerra hanno finito per essere, inevitabilmente, il tema su cui ci si è in gran parte concentrati nel confronto di oggi, alla luce dell’evidenza che la fragilità scoperchiata dalla pandemia non ha impedito, nostro malgrado, di far scivolare i destini dell’umanità verso il buio dell’annientamento dell’altro. Paglia ha ricordato la propria data di nascita: 21 aprile 1945. In quel giorno finiva la II guerra mondiale. “Sto immaginando i bambini che vedono la guerra oggi dentro le proprie case… Io non l’ho conosciuta”. Da qui l’amara riflessione che “c’è bisogno di maggiore energia della politica che io vedo assente – lamenta Paglia – troppo presa sulla via delle armi e poco sulla via del dialogo”. Secondo me c’è una povertà di visione che costringe a scelte non sufficientemente all’altezza. Sono rimasto sconvolto di fronte a chi arriva a dire che l’Onu non serve a nulla. Secondo me – afferma – era una conquista dinanzi ai disastri della seconda guerra mondiale” e ammette che questo è un serio problema.

Mancata visione sulle ripercussioni della guerra

Monsignor Paglia sottolinea il rischio di una mancata visione di tutte le ripercussioni della guerra, quella del grano, per esempio. E poi ricorda che ci sono decine di conflitti nel mondo. “Chi ricorda la Siria, l’Afghanistan? Chi ricorda la visione della Laudato Si’ e della Fratelli tutti? Io sono convinto che le idee sono forti, che l’utopia ha un suo senso. E ancora cita Papa Francesco che “incarna una politica con la P maiuscola. A noi l’audacia, la creatività nell’indicare la via”, è l’appello. Anche la senatrice Fedeli condivide questa linea e, dal canto suo, esprime l’urgenza di una politica di difesa ed economica europea. “Io arrivo a dire di una politica dell’istruzione europea che educhi alla pace”, afferma Fedeli. 

La Chiesa è contro ogni guerra

Ai nostri microfoni, Vincenzo Paglia approfondisce questi aspetti:

Ascolta l’intervista a monsignor Vincenzo Paglia

Ci scopriamo tutti più fragili dinanzi a questa guerra?

Indubbiamente questa guerra è una tragedia immane. Ciò che mi appare ancor più grave è che non si riesca a trovare il modo per bloccarla. Mentre vedo un’applicazione creativa per dare armi, vedo il cervello piatto sulle scelte politiche. Com’è possibile che sia avvenuto un incontro di difesa con il segretario generale dell’Onu che parla con il presidente Putin e rimane quasi privato della sua autorevolezza? Ecco perché credo che sia indispensabile – come Papa Francesco va continuamente affermando – che la guerra vada fermata subito. E questo è obbligo della politica. Io sono convinto che le idee sono più forti delle armi. Ecco perché è indispensabile uno scatto di responsabilità e di creatività perché la politica riprenda il primo posto in questo conflitto.

Tiene banco la questione relativa all’opportunità di armare o non armare l’Ucraina…

Io rivendico la libertà della Chiesa e anche il suo essere ‘oltre’. C’è bisogno che, al di là delle scelte che vengono fatte in questo caso dai politici, la Chiesa dica quell’oltre che indica la salvezza, la preziosità della vita di ogni persona umana, nessuna esclusa. Ecco perché la Chiesa è contro ogni guerra, ecco perché deve sostenere e deve essere un pungolo, una spina che faccia male anche quando qualcuno ritiene che sia giusto intraprendere la via delle armi. Per la Chiesa non sarà mai giusto perché c’è sempre un ‘oltre’. Noi dobbiamo stare, come credenti, nel mondo, ma non dobbiamo essere ‘del’ mondo. In questo senso, il Papa non è il cappellano morale dei governi. Il Papa indica l’utopia del Regno di Dio che vuole la salvezza di tutti. Gesù ha detto, e nelle Scritture è evidente: non vogliamo la morte del peccatore, vogliamo la salvezza di tutti.

Intravede una fragilità nei proclami imperialisti di Mosca?

La fragilità è patrimonio comune, purtroppo a volte non lo si vede. O perché c’è un senso di prometeismo o, al contrario, di narcisismo: due figure mitologiche che descrivono molto bene l’irrazionalità di chi non guarda con occhi aperti la realtà della vita. Il Covid ci ha mostrato la fragilità di tutti e di tutto, anche della scienza. Ecco perché se non si riscopre la fragilità delle persone e persino delle istituzioni, io credo che sia davvero difficile poter continuare una convivenza pacifica. E la conclusione, ovviamente, non sarà che la distruzione vicendevole.

Continuando a tenere come parametro questa fragilità umana, vediamo che la fragilità dei profughi sta mobilitando aiuti da ogni parte del mondo. Quanto, questa solidarietà internazionale, ha potere disarmante, secondo lei?

Direi di sì, ce l’ha, ciò che conta è accorgersene, vederla con occhi di bambino. Commuoversi. Come non farlo dinanzi ad anziani e bambini che vivono questo momento in maniera così tragica? Davvero, il messaggio di Papa Francesco è di un realismo profetico incredibile. Io credo che sia proprio giusto ciò che diceva Gesù: se non tornate come bambini, se non tornate a guardare con ‘quella ingenuità d’affetto’ che non conosce odio, credo che sarà davvero difficile guardare con speranza al futuro.

Stiamo assistendo anche a una fragilità delle parole, secondo lei? Dichiarazioni su dichiarazioni ma ancora siamo all’impasse totale…

Io credo che invece stiamo andando di fronte alla forza cattiva delle parole. Guardiamo nella sua Lettera, nella Bibbia, cosa Giacomo scrive in proposito. Dobbiamo intraprendere invece un discorso ‘buono’ perché la bontà è molto più forte della cattiveria. L’importante è parlarla questa lingua.