Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
È ancora Ramadan di sangue in Afghanistan. Dopo sole 48 ore, altri morti. Non a Kabul ma più a nord, a Mazar-i Sharif, quarta città del Paese, vicina alle frontiere uzbeka e takiga e poi a Kunduz, anche questa al nord e al confine con il Tagikistan. Nel primo attentato, un’esplosione nella moschea di Seh Dokan ha ucciso una decina di persone, tutti della minoranza hazara, in preghiera. Nel secondo, i morti sono stati almeno 4, per una bomba piazzata su di una bici che ha preso di mira un’auto con a bordo alcuni meccanici impiegati di una unità militare. Due giorni fa, l’attentato era stato ad una scuola del quartiere sciita di Kabul. Tra le vittime diversi bambini. Tutti gli attacchi sono stati rivendicati dal ramo regionale dello Stato islamico, l’Is-Khorasan.
La persecuzione degli hazara
Gli hazara, che compongono circa il 9% della popolazione di 40 milioni, hanno vissuto negli anni brutali persecuzioni da parte della maggioranza sunnita e anche obiettivo del gruppo locale dello Stato islamico, in azione dal 2014, e che viene indicato come la grande sfida al governo dei talebani che, dalla presa di potere, lo scorso agosto, hanno lanciato una vasta offensiva nella parte orientale del Paese. Gli hazara chiedono di essere protetti e di fermare le uccisioni e la violenza contro di loro, perseguitati per la loro etnia e in quanto sciiti, discriminati dalla maggioranza sunnita e vittime dello Stato islamico che, ancora prima della presa di potere dei talebani, li aveva presi di mira uccidendo anche molti bambini soprattutto nella parte orientale della capitale Kabul, dove vive la minoranza sciita.