Eliana Astorri – Città del Vaticano
“Oggi ricorre la Giornata Mondiale della consapevolezza dell’Autismo. Camminiamo insieme alle persone con autismo: non solo per loro, ma prima di tutto con loro!”. È il tweet di Papa Francesco sul suo account @Pontifex, nel giorno di oggi, 2 aprile, in cui ricorre la Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, un disturbo che compromette le aree dell’interazione sociale e della comunicazione, caratterizzato da modelli ripetitivi e stereotipati di comportamento, interessi e attività. L’isolamento dovuto alla pandemia unito alla difficile condizione delle persone autistiche ha complicato la vita di circa 500mila famiglie italiane, come denunciano varie associazioni.
Dati e iniziative
La prevalenza del disturbo riguarda uno su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su 160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna, in Italia uno su 77 nella fascia di età 7-9 anni. Istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’Onu, la Giornata richiama l’attenzione sui diritti delle persone nello spettro autistico. “Light It Up Blue” è l’iniziativa alla quale in Italia aderiranno molti monumenti ma anche il Quirinale e Palazzo Madama. Domenica a Roma la decima edizione della Run for Autism promossa dal Progetto Filippide, che porterà sulle strade della capitale oltre 400 ragazzi autistici da tutta Italia, per testimoniare il ruolo dello sport nell’inclusione sociale.
Non una malattia
È importante dunque tornare a parlare di questa condizione con il dottor Giovanni Valeri, responsabile per i disturbi dello spettro autistico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù:
Una “condizione”, non una malattia l’autismo. Perché?
“Condizione” è il termine che si usa sempre più spesso perché sono delle caratteristiche della personalità del bambino, dell’adolescente e dell’adulto con autismo. C’è una particolare modalità di interagire e di percepire gli stimoli del mondo. Questa condizione può diventare un disturbo dello spettro autistico quando comporta una compromissione funzionale. Quindi dobbiamo essere molto attenti nel sapere rilevare con attenzione quelli che sono i segni, le caratteristiche dell’autismo, e questo crea la condizione autistica, e poi valutare attentamente quanto questa condizione comporti una compromissione funzionale degli apprendimenti nel lavoro, nelle relazioni, e a quel punto è corretto chiamarlo disturbo dell’autismo – disorder diseases, in inglese – e assolutamente giustificato e necessario un intervento terapeutico.
In questo campo rientra una serie di disturbi che sono diversi da bambino a bambino, da adolescente ad adolescente, a secondo della gravità?
Attualmente si parla di disturbo dello spettro autistico proprio per indicare il fatto che da una parte alcune caratteristiche nucleari che troviamo in tutte queste condizioni-disturbo sono delle compromissioni a livello sociale e comunicativo associati a comportamenti e interessi ripetitivi ristretti che ritroviamo in tutti; però, poi c’è una variabilità legata a tre fattori principalmente: alla gravità sintomatologica che può essere una condizione lieve, media o grave, alla eventuale associazione di una compromissione cognitiva – dobbiamo ricordarci che il 40- 50% delle persone con disturbo dello spettro autistico hanno anche una disabilità intellettiva e queste sono le condizioni in cui la compromissione è più grave. E il terzo elemento è il livello linguistico: abbiamo situazioni che vanno da persone completamente non verbali a persone che usano solo parole singole a persone che hanno un linguaggio fluente. Quindi gravità, livello cognitivo e livello delle competenze linguistiche ci permettono di capire all’interno dello spettro dove si situa la persona.
Una volta capito questo, la riabilitazione cognitiva e comportamentale è una priorità per il trattamento dell’autismo?
Assolutamente sì. Abbiamo detto che nel momento in cui si individua un disturbo dello spettro delle caratteristiche che si verificano è assolutamente urgente avviare una terapia che deve avere un’evidenza scientifica. È utile riferirsi alla linea guida sull’autismo, che attualmente è in vigore in Italia, del Ministero della Salute, che individua quattro famiglie di interventi che hanno delle evidenze scientifiche: due sono raccomandati, cioè hanno prove di efficacia sufficientemente solide e sono in primo luogo gli interventi mediati dai genitori, importantissimi, in cui il terapeuta aiuta il genitore a trovare le migliori strategie interattive per promuovere le competenze del bambino. L’altra famiglia di interventi raccomandati sono gli interventi comportamentali intensivi. È importante che venga precisato però che non per tutti i bambini è utile fare questo tipo di interventi intensivi, è un’opzione importante. Gli altri due, che sono quelli consigliati, sono gli interventi a supporto della comunicazione come per esempio l’uso sistematico degli ausili visivi, gli interventi di comunicazione aumentativa alternativa, quindi le persone non verbali o poco verbali possono comunicare anche in modo incredibilmente efficace con delle immagini, e infine l’ultimo, gli interventi psico-educativi basati sulla strutturazione dell’ambiente, cioè rendere l’ambiente prevedibile. Ecco, per queste persone il progetto di presa in carico terapeutica che sia basato su evidenze scientifiche dovrebbe in qualche modo far riferimento a queste quattro famiglie di interventi.
Vicino al bambino e all’adolescente con autismo e, ovviamente, quando questo diventa adulto, ci sono anche dei genitori che devono essere supportati. Cosa è possibile fare per loro, anche secondo l’esperienza del vostro Centro dedicato?
Assolutamente non si può pensare di prendere in carico una persona con autismo, un bambino, senza prendersi cura anche delle persone che gli sono intorno. È fondamentale fare un’attenta valutazione dei bisogni di queste persone, capire se hanno necessità che possono essere di vario tipo: possono essere sostegni psicologici, a volte sostegni sociali. È importantissimo, ad esempio, con queste persone organizzare quelli che noi chiamiamo “programmi di emergenza”, cioè cosa c’è da fare nell’eventualità in cui il ragazzo, il bambino o l’adulto con autismo possa avere delle crisi comportamentali, ma deve essere chiaro, scritto, deve essere un programma di emergenza. Poi, altra cosa molto importante, prevedere dei momenti di “break”, cioè dei momenti in cui i familiari di persone con autismo, soprattutto autismo grave e con associata disabilità intellettiva possono prendersi del riposo. Ma questo è possibile farlo solo se loro sentono di poter affidare, per esempio per un fine settimana, il loro figlio ad operatori di cui si fidano, che sanno come lavorano con il loro figlio. Io mi ricordo sempre un’esperienza molto bella che feci diversi anni fa in cui, in una situazione con adolescenti tutti molto gravi con autismo, si è riusciti a costruire una casa delle autonomie in cui i ragazzi passavano a turno un fine settimana e i genitori potevano permettersi appunto questo break. Ricordo che una mamma mi ha detto che il figlio aveva 17 anni e che quella era la prima volta che con il marito era potuta andare a mangiare in un ristorante oppure a vedere un film con tranquillità. Quindi dobbiamo prenderci cura dei genitori in questo modo articolato con una valutazione attenta dei bisogni di sostegno, su come affrontare le situazioni d’emergenza e poi prevedere dei momenti di break in modo che loro possono riprendersi e fare anche delle esperienze che tutti sappiamo quanto siano importanti.