Eugenio Bonanata – Città del Vaticano
La religione non rappresenta l’elemento centrale del conflitto in Ucraina, tema onnipresente nei nostri cuori lacerati da così tanta sofferenza. Eppure, la questione religiosa resta sempre alla base del modello di convivenza che l’Europa va cercando. “Più volte nel corso del Novecento abbiamo visto che siamo stati capaci di farci la guerra anche per altri motivi”, afferma Adrien Candiard, domenicano francese, autore del testo: “Tolleranza? Meglio il dialogo. Il caso-Andalusia e il confronto tra le fedi” appena pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. A fronte del rischio della strumentalizzazione della religione, l’apprezzato islamologo, residente al Cairo dove è membro dell’Institut dominicain d’études orientales, propone di superare la tolleranza per abbracciare la categoria del dialogo autentico quando si parla della relazione tra le differenti fedi.
Conoscere le religioni
Per fare questo – spiega Candiard – “non serve estromettere la religione dal dibattito pubblico per relegarla alla sfera privata”. In Europa, e soprattutto in Francia, questo modello ha ampiamente mostrato i suoi limiti. E la questione non riguarda esclusivamente il rapporto con l’Islam, che negli ultimi tempi è stato segnato da tante difficoltà e incomprensioni. “Occorre passare dall’accettazione dell’esistenza delle religioni come un fatto, alla conoscenza di queste religioni”, prosegue illustrando le finalità concrete di questo passaggio. “C’è bisogno aiutare la gente non soltanto a sopportare l’esistenza degli altri, ma di parlare e di parlare in profondità, di parlare di merito, di ciò in cui si crede o non si crede”.
Accettare la diversità
Ciò che serve è soprattutto recuperare il rispetto nella ricerca della verità che anima ciascun credo. “Sarebbe un’illusione pensare che dobbiamo essere tutti d’accordo per essere tutti amici. La sfida delle nostre società oggi in Europa non è quella di trovare un punto comune di accordo fondamentale, ma di accettare che possiamo non essere d’accordo e che questo non è grave e che non per forza dobbiamo combattere gli uni gli altri per questo motivo”. Occorre imparare a discutere in modo autentico, polemico e persino acceso. Ma continuare a confrontarsi. Questo è il punto. È ciò che avvenne nell’Andalusia del XII secolo, dove in un clima di rispetto cristiani, ebrei e musulmani dialogavano e filosofeggiavano nella ricerca della verità. Lo facevano appunto in modo talvolta acceso e polemico, ma senza voler appianare le differenze e sempre nel tentativo di convincersi a vicenda. Il tutto senza estromettere la religione dalla dimensione pubblica. Il libro prende le mosse proprio da questo antico modello di convivenza per risalire lungo i secoli. Un percorso che si compone pagina dopo pagina per ribadire che “più la religione è un fatto di identità e di folklore e più diventa disponibile ad una manipolazione politica. Più, invece, è un fatto di credenza personale e di fede e meno è disponibile a questo uso”. Sono tanti gli auspici per il cammino del libro nel nostro Paese. “Penso che rispetto ad altri Paesi come la Francia, l’Italia abbia una tradizione di maggiore apertura per accogliere la religione nello spazio pubblico, come struttura e forse anche come pensiero. Spero – conclude l’autore – che possa usare questa sua vocazione per ospitare un dialogo interreligioso esigente, forte e con risultati concreti”.