Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Sono 8760 le ore in un anno. Una di queste assume, ogni dodici mesi, un significato simbolico, che volge lo sguardo al pianeta, al cielo e a quanto si può fare per migliorare la cura di ciò che ci circonda. L’Ora della Terra, che quest’anno ricorre oggi, sabato 26 marzo alle 20:30, è un evento internazionale ideato e gestito dal Wwf che ha l’obiettivo di richiamare l’attenzione sulla necessità urgente di intervenire sui cambiamenti climatici in corso mediante un gesto semplice, ma concreto: spegnere la luce artificiale per un’ora nel giorno stabilito.
Dall’Australia al resto del mondo
L’iniziativa è nata in Australia, promossa dal World Wide Fund for Nature Australia (Wwf) e dal Sydney Morning Herald. La prima Ora della Terra si è svolta a Sydney, in Australia, tra le 19:30 e le 20:30 del 31 marzo 2007. I consumi energetici di Sydney, durante quell’ora, si ridussero di circa dieci punti percentuali, con una partecipazione di oltre due milioni di persone. Già l’anno seguente l’evento è diventato di portata mondiale, con quasi 400 città coinvolte in ogni continente. Nel 2009 divennero più di 4mila, con i numeri in crescita di anno in anno.
L’evento del 2022
Earth Hour è un evento senza frontiere, che unisce le persone sulla Terra per vincere la sfida climatica. In un momento in cui i conflitti diventano una minaccia al futuro di tutti, una grande azione globale, in grado coinvolgere persone in tutti i Paesi del mondo, è, in sé, un messaggio di pace e solidarietà. L’obiettivo è quello di donare alle generazioni di domani un futuro più equo, sostenibile e pacifico rispetto al presente. Anche la Basilica di San Pietro in Vaticano spegnerà le sue luci per un’ora, così come numerosi altri monumenti a Roma, dal Colosseo a Castel Sant’Angelo. In Italia sono oltre duecento le città che parteciperanno con eventi ad hoc, nel mondo le luci si spegneranno in decine di Paesi diversi in ogni continente.
Lo sguardo rivolto al cielo
L’astrofisico Gianluca Masi, divulgatore scientifico, è tra i massimi esperti degli effetti dell’inquinamento luminoso in Italia. Il Paese che, insieme alla Corea del Sud, vanta il primato degli Stati del G20 per quanto riguarda questo triste fenomeno. “La vista del cielo, la percezione della bellezza che si accende al calar del sole, quel nero interrotto dalle stelle è fondamentale per l’essere umano, da sempre”, spiega. “I nostri antenati non solo hanno guardato al cielo per diletto, ma alle costellazioni hanno affidato alcune delle immagini più alte del loro patrimonio mitologico e culturale. Una considerazione verso il cielo che noi abbiamo sfigurato con una quantità di luce inaccettabile, che equivale ad uno spreco di energia e denaro”.
Ma come quantificare questo spreco? Quanta luce artificiale basterebbe per soddisfare i bisogni dell’uomo? “Se si paragonano alcune città italiane di riferimento, come Milano e Roma, a Monaco o Berlino, si scopre – rivela Masi – che le prime hanno una luce artificiale di notte pari ad oltre il doppio delle seconde”. La soluzione non è spegnere le luci urbane. “Nessuno vuole il buio di notte, ma l’illuminazione deve seguire una logica, anche nelle piazze. C’è – prosegue – un tema economico, sciupiamo il 30% della luce artificiale e questo ha un costo di circa 300 milioni di euro all’anno”.
I motivi dello spreco
A questo punto la domanda sorge spontanea: perché questo eccesso di luce artificiale? “Il problema principale è la negligenza – evidenzia l’astrofisico – e la poca informazione. Nessuno inquinerebbe a cuor leggero, c’è disattenzione ed è importante diffondere queste conoscenze. Risolvere questo problema è un bene per tutti, non è un qualcosa di irrealizzabile, anzi”. Le conseguenze negative dell’inquinamento luminoso non sono solo economiche. “Per produrre l’energia elettrica, che poi si spreca, vengono emessi gas serra che inquinano l’ambiente. Non dimentichiamo poi l’impatto sull’ecosistema, l’eccesso di luce notturna altera i comportamenti degli animali. L’impatto negativo è anche sulle piante, come documentato da numerosi studi universitari. Un impatto c’è anche sulla salute umana, con patologie serie sempre documentate sulla mancata alternanza tra il giorno e la notte”. “L’aspetto culturale – conclude – dovrebbe essere quello dominante, la necessità di tornare a guardare il bello, volgendo lo sguardo al cielo”.