Antonella Palermo – Città del Vaticano
“Anche se lottiamo con grandi e frustranti limiti, voglio poter dire al mondo che la nostra vita è unica, un dono che non si può buttare”. Parole di Luigi Picheca, 67 anni, da 14 malato di SLA. Parole scritte con gli occhi, come ha imparato a fare dal 2014 quando, grazie alle tecnologie messe a disposizione in questo ambito sanitario, ha cominciato a percorrere, pur nella sua fissità corporea, un viaggio mentale e relazionale di straordinaria bellezza, tanto da contribuire a creare il Premio SLAncio la cui premiazione su youtube e facebook è oggi, 26 marzo.
Racconti e poesie sul tema: la luce
Grande e inaspettata partecipazione ha ottenuto l’iniziativa del concorso letterario ideato dalla Rivista Scriveresistere, magazine scritto con gli occhi da persone malate di SLA. Oltre quattrocento persone hanno aderito inviando racconti e poesie, segno che questa modalità espressiva sta facendo trovare nuova vita anche a chi avrebbe voluto mollare di fronte a sofferenze solo in minima parte immaginabili. Il tema del Premio è la Luce, ovvero Speranza. La Giuria, che ha esaminato e selezionato gli elaborati, è presieduta da Arnoldo Mosca Mondadori e vi fanno parte i giornalisti Ferruccio De Bortoli e Giangiacomo Schiavi, l’attore Paolo Rossi, lo scrittore Luca Crippa, lo scultore Pietro Coletta che ha creato Indicibile, l’opera simbolo del premio, Maria Pitaniello, direttrice della Casa Circondariale di Monza, Roberto Mauri, presidente della cooperativa La Meridiana.
La scrittura è un salvavita
“Attraverso la scrittura posso far sapere che, nonostante la SLA, sono felice di essere vivo e di aver scelto di vivere in quel fatidico momento quando mi hanno fatto la domanda: ‘vuole fare l’intervento di tracheotomia?’. E io chiusi gli occhi per dire SÌ”. E’ il messaggio di Luigi, dal suo letto della RSD San Pietro – Progetto SLAncio, a Monza. Un ex chimico che odiava i temi a scuola e che è finito, invece, ad amarli così tanto da diventare, quando era già ammalato, giornalista pubblicista grazie a una collaborazione con il giornale online Il Dialogo. “Ho imparato che la sofferenza è una battaglia che si vince accettandola – racconta – e scrivere è anche poter lasciare traccia di esperienze utili a tanti altri. La malattia, per assurdo, mi ha permesso di conoscere, seppure attraverso la sofferenza, quello che non conoscevo di me stesso, la parte di me più nascosta”. Lo conferma Luisa Sorrentino, psicologa coordinatrice di Scriveresistere, anche lei membro della Giuria:
Scovare l’uomo vivo sotto l’immobilismo
“Quando ho incontrato Luigi ho avuto la sensazione di una presenza e non di un corpo su un letto. Ho sentito una personalità, dentro una persona immobile, molto forte”, racconta Luisa. “La persona è pensiero, non è solo ciò che si può vedere. Ho avuto subito un interlocutore in lui, così anche io ho fatto esperienza del limite che mi ha messo di fronte alla mia disabilità”. Luisa spiega che l’amicizia con Luigi è costantemente un grandissimo stimolo per una crescita umana. Si sono conosciuti quando hanno pensato di scrivere insieme dapprima alcune news sul sito de La Meridiana, che gestisce la struttura in cui vive Luigi, e poi di trasformare questi articoli in un giornale regolarmente iscritto al tribunale di Monza. L’avventura coraggiosa della scrittura. Perché – come lei precisa – la scrittura è un salvavita.
“La persona non è immobile poiché si muove attraverso la scrittura. Questo rende vivo e permette la comunicazione che fa esistere, altrimenti sei un oggetto su un materasso e questo non è vero. Luigi non lo puoi andare a lusingare con il pietismo, le coccole, il buonismo: lui ha un pensiero, ha una storia, una radice dentro di lui di cui è molto orgoglioso. La SLA gli è caduta addosso nel pieno delle sue forze e ha combattuto strenuamente, considerato anche che lui è orfano di padre da quando era ragazzino. Si è preso cura lui della famiglia, poi la SLA lo ha schiacciato, lo ha sepolto sotto l’immobilità. Andare a scovare l’uomo vivo sotto l’immobilità commuove e fa capire trasversalmente che tutti abbiamo sempre qualcosa da tirar fuori. E quando siamo impediti ecco che nasce l’opportunità di scoprire qualcosa dentro di noi che non immaginavamo di avere. Questo mi insegna Luigi tutte le volte”.
“Luigi mi aiuta a placare la fretta, prendere un altro ritmo”
“Non sai come fa a farcela, eppure la sua è quella intelligenza dell’uomo pacifico – osserva Luisa – che fa pace con la dittatura del corpo e riesce a trovare un dialogo nuovo”. Ricorda che fu il calciatore Stefano Borgonovo (ha messo su una Fondazione che sostiene la ricerca per vincere la SLA di cui lui stesso era affetto) a regalargli il computer a impulsi oculari. “Luigi da quel momento si è impegnato e ha trovato questo foro di uscita che è la comunicazione attraverso la scrittura e la scrittura è diventata il suo talento. Noi andiamo a memoria: io mi muovo, parlo, faccio tutto. Sono andata baldanzosa verso la persona impedita, invece – continua – ho scoperto che la persona impedita sono io. Ho infatti dovuto imparare, cambiare il tempo, uscire dal mio ritmo e prendere il suo. Tutto si rallenta ma tutto si approfondisce. E’ un tempo che non è morto, è vivissimo. E’ il tempo del pensiero che noi non siamo abituati a considerare perché andiamo di corsa. Ogni parola ha un tempo. E’ questo l’insegnamento che mi aiuta a placare la fretta, a dare importanza all’ascolto. Se non ascolti, vai avanti per conto tuo e non si sa dove”.
Una lettera alla volta e ‘si esce dal letto’
Luisa arriva a dire che, in fondo, “siamo in qualche misura tutti un po’ disabili”. E sottolinea che “con la SLA si entra nei problemi, nei propri errori, nei propri sogni”, che l’esperienza da Luigi passa dentro di lei. “E’ una lezione costante. Non c’è volta in cui lascio la camera di Luigi senza un senso di gioia, anche di stanchezza, di consapevolezza che è stato utile vivere”. Accenna a come si svolge il lavoro di redazione del giornale: senza regole. “C’è già la regola della SLA che è bloccante, tutto il resto dunque deve essere per forza super mobile. Individuiamo un tema che ci tocca da vicino, poi liberamente, ciascuno scrive il suo pezzo. A Luigi non piace fare finta. Ha grande responsabilità, ha una indipendenza mentale. Alla fine è una fatica divertente. Si procede una lettera alla volta ma si è trascinati dall’incontrarsi, dall’uscire dal letto”. E’ davvero straordinario il modo attraverso cui Luisa riesce a farti conoscere Luigi, che definisce una sorta di “pittore di affreschi”. Dice che lui ricorda in senso globale. Racconta ed entri in un’epoca e lui trasferisce le sue esperienze. Contestualizza. Non è mai puerile”.
La fede: quella luce che va accesa dentro
C’è bisogno di esistere, di far sentire la propria voce: lo si deduce dal numero di persone che hanno partecipato al Premio. “L’invito a scrivere è un invito a star bene, a non aver paura di ciò che è dentro di noi, a fuggire dalla superficialità, a favore della ricchezza del nostro pensiero. Scrivere non è solo una via di uscita per un malato, ma è per noi che dobbiamo muovere il pensiero nostro, spesso atrofizzato”, dice la psicologa. Poi c’è una dimensione di fede che lo attraversa: è quella ‘luce’ del tema del Premio che va accesa dentro. “Questo stato favorisce la spiritualità perché fa rimanere soli con Dio. Luigi non la diffonde in maniera sfacciata però si sente che lui la vive dentro. Ha rispetto, amore, riguardo”. E ricorda quando, il 4 febbraio scorso, ha fatto parte di una piccola delegazione ricevuta in Vaticano dal Papa: rappresentava anche Luigi e i malati di SLA e a Francesco ha donato anche il libro di Luigi Imprevisti. “Sapere che queste opere sono andate nelle mani di Francesco è stata per loro una cosa straordinaria. Noi siamo felici di questa benedizione, è come un avallo del nostro operare. E’ come se fossero stati lì”. Buona fortuna a Luigi, costruttore di amicizia, che ha visto i suoi figli crescere e diventare adulti, scegliere la loro strada ed affermarsi nelle loro imprese. “Tutto questo mi appartiene e neppure la SLA me lo può togliere”.