Lisa Zengarini – Città del Vaticano
A più di un mese dalla dichiarazione della fine della guerra nella regione etiopica del Tigrè da parte del Governo di Addis Abeba, resta drammatica la situazione umanitaria nel territorio riconquistato dall’esercito regolare etiopico dopo un mese di combattimenti con le forze del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (Tplf).
La delegazione
Nei giorni scorsi – riporta il blog dell’Amecea, l’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa orientale – una delegazione composta da rappresentanti della Conferenza episcopale etiopica (Cbce) e dei Catholic Relief Service (Crs) degli Stato Uniti ha compiuto una visita di solidarietà nell’eparchia cattolica di Adigrat per fare il punto sui bisogni più urgenti della popolazione civile con l’ordinario locale, monsignor Tesfassilasie Medhin, e coordinare gli aiuti della Chiesa con il Governo ad interim installato dopo la disfatta delle forze ribelli. La delegazione, di cui facevano parte il segretario generale della Cbce, padre Teshome Fikre Woldetensae, il direttore esecutivo della Commissione per lo sviluppo sociale della Chiesa etiope (Ecc-Sdco) e tre rappresentanti dei Crs, ha distribuito aiuti alimentari agli sfollati interni delle aree urbane e rurali. Secondo il rapporto sulla visita, diffuso il 22 gennaio, in tutto 70mila persone riceveranno aiuti da Usaid, l’agenzia di aiuti del governo degli Stati Uniti tramite il suo Joint Emergency Operation for Food (Jeop).
Saccheggi, danni e tensioni
La delegazione ha anche discusso il contributo e il ruolo della Chiesa cattolica etiope (Ecc) e dei suoi partner per la ricostruzione. La Ecc è da tempo impegnata in diversi interventi nel campo educativo, sanitario, alimentare e per i migranti, tra i quali molti rifugiati dalla vicina Eritrea, ma per portare avanti la sua attività e gli aiuti umanitari è fondamentale il pieno ripristino delle infrastrutture, comprese la rete elettrica, quella telefonica e internet, i servizi bancari e i mercati locali che sono stati interrotti dal conflitto. A questo proposito, la delegazione della Chiesa ha potuto constare che la maggior parte delle attività non è ancora tornata alla normalità: i negozi e le banche sono ancora chiusi e molti edifici, anche nell’eparchia di Adigrat, sono stati danneggiati. Inoltre – riferisce ancora il rapporto – dopo la presa in consegna di Adigrat da parte delle autorità federali, si sono verificati ancora saccheggi e danneggiamenti e perdurano tensioni e violazioni dei diritti umani.
Gli appelli alla riconciliazione
Il conflitto nella regione del Tigray è esploso il 4 novembre, quando il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha ordinato un’offensiva militare contro le autorità locali, in risposta ad un attacco alla principale base militare etiope situata nella capitale del Tigray, Macallè, causando centinaia di morti e migliaia di sfollati che si sono rifugiati nel vicino Sud Sudan. Ma il conflitto affonda le sue radici nei mesi scorsi, da quando, a settembre, il Tplf, alla guida del governo regionale, ha organizzato le elezioni nella regione, contro il parere del governo centrale.
Sin da subito, la Chiesa locale ha fatto sentire la sua voce per fermare le armi: ad invocare la riconciliazione sono stati i vescovi cattolici di Etiopia, quelli in Eritrea, nonché l’Associazione delle Conferenze Episcopali Membro dell’Africa Orientale (Amecea). Forti, inoltre, gli appelli del Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar) e del Consiglio mondiale delle Chiese per la fine del conflitto, per il ritorno sicuro degli sfollati e per un processo di riconciliazione inclusivo che porti a una pace sostenibile per tutti nel Paese. Da ricordare, anche gli appelli di Papa Francesco, in particolare all’Angelus dell’8 novembre scorso in cui aveva esortato a respingere la tentazione dello scontro armato e a ricomporre pacificamente le discordie.