Roberta Barbi – Città del Vaticano
Era il 1942 quando, per la prima volta, Santa Sede e Giappone iniziarono le relazioni diplomatiche: 80 anni dopo, per celebrare la ricorrenza e rinsaldare i rapporti che si delineano all’insegna della solidarietà e della collaborazione per l’emancipazione dei popoli, è stata organizzata la conferenza “Empowerment of women in conflict areas”. L’iniziativa è dedicata in particolare alle donne del Sud Sudan, e oltre a presentare un apposito progetto, offrirà l’occasione per riflettere sui traguardi che è possibile raggiungere attraverso la collaborazione di realtà anche tanto diverse come organizzazioni internazionali, rappresentanze diplomatiche e enti religiosi che si occupano di aiuti umanitari, ma uniti dall’attenzione alle persone in difficoltà.
Un evento per le donne che vivono in aree di conflitto
L’evento, in programma venerdì 4 marzo nell’aula Vecchi dell’Università Pontificia Salesiana che è tra i promotori, illustrerà, a titolo di esempio sul tema, la collaborazione in atto tra governo giapponese, Unido (United Nations industrial development organization) e Figlie di Maria Ausiliatrice presenti in Sud Sudan a sostegno proprio delle donne del Paese africano. Il discorso d’apertura sarà affidato al rettore dell’ateneo, don Andrea Bozzolo, cui seguirà l’intervento dell’ospite d’onore, suor Alessandra Smerilli, segretario ad interim del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
Sud Sudan: il Paese più giovane del mondo
Ottenuta l’indipendenza da Khartoum solo nel 2011, il Sud Sudan è il più giovane Stato del mondo, ma anche uno tra i più poveri e i più instabili. I conflitti politici mai sopiti, infatti, hanno costretto alla migrazione ben quattro milioni di persone, di cui circa la metà sono rifugiati interni. Nel 2019 è stato formato un governo provvisorio di unità nazionale e nello stesso anno è nato anche il progetto che vede la collaborazione tra Unido e le suore salesiane, con i finanziamenti di Tokyo, finalizzato alla creazione di opportunità di lavoro per la popolazione sud-sudanese. Il progetto, in particolare, coinvolge le donne rifugiate e la produzione locale di arachidi e sesamo, con l’obiettivo di realizzare olio da vendere, in modo da alzare il valore sul mercato del prodotto e garantire, così, un reddito stabile a queste donne, rendendole indipendenti. Tra le azioni finora messe in campo, l’introduzione di macchinari per l’estrazione di olio, l’avvio di corsi di formazione sulla sicurezza alimentare, la creazione di casse di risparmio collettive e l’erogazione di prestiti per l’inizio dell’attività.