Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Coltivare una visione rinnovata della vita consacrata”, che tenga conto dei segnali che Dio manda – dalle crisi, al calo numerico, dall’infiacchirsi delle forze dei membri della comunità – e spinga verso un cambiamento, senza farsi “paralizzare” da paure o vecchie nostalgie, senza cadere nella rigidità che è sempre “una perversione”. È una spinta al futuro quella del Papa ai religiosi di tutto il mondo che oggi celebrano la Giornata internazionale della Vita consacrata, nella festa della Presentazione di Gesù al tempio, durante la quale al momento della comunione il Papa ha concesso l’Ecclesiastica Communio al Patriarca di Cilicia dei Armeni, Raphael Bedros XXI Minassian.
A membri di ordini, congregazioni e istituti il Pontefice raccomanda di fare attenzione a quei “tarli” e “smanie” che si annidano nella vita comunitaria: narcisismo, protagonismo, la tentazione di ferire la dignità di fratelli e sorelle. Contro di essi, l’antidoto è lo “stupore”.
La fiamma della vocazione
La Messa del Papa viene celebrata in una San Pietro gremita e illuminata solo dal baluginare delle candele dei religiosi. Tra questi, anche alcuni vescovi e cardinali. Un fuoco flebile segno della più vivida fiamma della vocazione che ha spinto uomini e donne di ogni età ad abbracciare la vita religiosa. Francesco entra in Basilica a passo lento e, mentre il coro intona l’antifona O Luce radiosa, si dirige in processione verso l’Altare della Cattedra da dove benedice i flambeaux.
No alla paura del cambiamento
L’omelia è tutta incentrata sulla figura di Simeone e Anna, “due anziani” che attendono il compiersi della promessa di Dio: la venuta del Messia. In particolare sono i loro gesti a indicare il cammino dei consacrati: vedere, muoversi, accogliere. Vedere, sottolinea Francesco, perché è il Signore stesso a mandare “segnali” da osservare per invitarci “a coltivare una visione rinnovata della vita consacrata”: “Ci vuole, eh! Ma sotto la luce, sotto l’emozione dello Spirito Santo… Non possiamo fare finta di non vederli e continuare come se niente fosse, ripetendo le cose di sempre, trascinandoci per inerzia nelle forme del passato, paralizzati dalla paura di cambiare”, afferma. Oggi la tentazione è infatti “di andare indietro, per sicurezza, per paura, per conservare la fede, conservare il carisma fondatore. È una tentazione… La tentazione di andare indietro e conservare le ‘tradizioni’ con rigidità”.
Vedere e rinnovare
Niente inerzie del passato, niente paura, dice invece Papa Francesco. Dobbiamo aprire gli occhi alla realtà, presente e futura:
Attraverso le crisi – si, è vero ci sono le crisi -, attraverso i numeri che mancano: “Ma padre non ci sono vocazioni, adesso andiamo nell’isola dell’Indonesia per vedere se ne troviamo qualcuna…”. No! Quando stiamo guardando al passato con inerzia, siamo paralizzati dalla paura di cambiare.
Francesco invita a guardare anche alle “forze che vengono meno”, perché proprio attraverso tutte queste debolezze “lo Spirito invita a rinnovare la nostra vita e le nostre comunità. Lui ci indica il cammino, noi apriamo il cuore”. L’importante è non passare i giorni “a rimpiangere un passato che non torna più”, ma aprire le braccia “al futuro che viene loro incontro”.
“Non sprechiamo l’oggi guardando a ieri”, esorta il Papa, ma mettiamoci davanti al Signore “in adorazione” e domandiamo “occhi che sappiano vedere il bene”
Occhi nuovi sul mondo
L’invito è, quindi, a trasformare lo sguardo:
Occhi nuovi su noi stessi, sugli altri, su tutte le situazioni che viviamo, anche le più dolorose. Non si tratta di uno sguardo ingenuo, è sapienziale. Lo sguardo ingenuo fugge la realtà o finge di non vedere i problemi, ma di occhi che sanno “vedere dentro” e “vedere oltre”; che non si fermano alle apparenze, ma sanno entrare anche nelle crepe della fragilità e dei fallimenti per scorgervi la presenza di Dio.
La vita consacrata non è uno spreco
Il problema però è: “Cosa vedono i miei occhi? Quale visione abbiamo della vita consacrata?”. “Il mondo – annota Francesco – spesso la vede come uno spreco: ‘Ma guarda, quel ragazzo così bravo, mettersi frate. Quella ragazza così brava, mettersi a suora. È uno spreco. Se almeno fosse brutto o brutta, no, sono bravi, ma è uno spreco’. Così pensiamo noi… Lo vediamo come una realtà del passato, qualcosa di inutile. Ma noi comunità cristiana, religiose e religiosi, che cosa vediamo? Siamo rivolti con gli occhi all’indietro, nostalgici di ciò che non c’è più o siamo capaci di uno sguardo di fede, lungimirante, proiettato dentro e oltre? Avere la saggezza del guardare”.
I moti dell’anima
E questo “lo dà lo Spirito Santo”, il quale, sottolinea il Papa, “rende capaci di scorgere la presenza di Dio e la sua opera non nelle grandi cose, nell’esteriorità appariscente, nelle esibizioni di forza, ma nella piccolezza e nella fragilità”. È lo stesso Spirito che incita al movimento. Non a caso si usa l’espressione “mosso dallo Spirito” per ricordare quelle “mozioni spirituali”, quei “moti dell’animo che avvertiamo dentro di noi e che siamo chiamati ad ascoltare, per discernere se provengono dallo Spirito Santo o da altro”.
Mentre lo Spirito porta a riconoscere Dio nella piccolezza e nella fragilità di un bambino, noi a volte rischiamo di pensare alla nostra consacrazione in termini di risultati, di traguardi, di successo: ci muoviamo alla ricerca di spazi, di visibilità, di numeri. È una tentazione…
Ripetizione meccanica
Lo Spirito invece, insiste Papa Francesco, “desidera che coltiviamo la fedeltà quotidiana, docili alle piccole cose che ci sono state affidate”.
Chiediamoci, fratelli e sorelle: che cosa muove i nostri giorni? Quale amore ci spinge ad andare avanti? Lo Spirito Santo o la passione del momento? Come ci muoviamo nella Chiesa e nella società? A volte, anche dietro l’apparenza di opere buone, possono nascondersi il tarlo del narcisismo o la smania del protagonismo.
Papa Francesco mette in guardia da un altro rischio: le comunità religiose “sembrano essere mosse più dalla ripetizione meccanica – fare le cose per abitudine, tanto per farle – che dall’entusiasmo di aderire allo Spirito Santo”. “Verifichiamo oggi le nostre motivazioni interiori, discerniamo le mozioni spirituali, perché il rinnovamento della vita consacrata passa anzitutto da qui”.
Accogliere per non far mancare la gioia
Infine, una terza azione: accogliere. Accogliere Dio nelle proprie braccia, nella propria vita, nella propria comunità e “recuperare lo stupore”. “A volte rischiamo di perderci e disperderci in mille cose, di fissarci su aspetti secondari o di immergerci nelle cose da fare, ma il centro di tutto è Cristo, da accogliere come Signore della nostra vita”, ammonisce il Pontefice.
Se ai consacrati mancano parole che benedicono Dio e gli altri, se manca la gioia, se viene meno lo slancio, se la vita fraterna è solo fatica, non è perché siamo vittime di qualcuno o di qualcosa, il vero motivo è perché le nostre braccia non stringono più Gesù. E quando le braccia di un consacrato non stringono Gesù, stringono il vuoto che cercano di riempire con altre cose. Ma c’è il vuoto.
Amarezza e lamentele
È quando non stringiamo Gesù che “il cuore si chiude nell’amarezza”: “È triste – dice il Papa a braccio – vedere quei consacrati amari”, che “si chiudono nella lamentela per le cose che puntualmente non vanno. Sempre si lamentano di qualcosa: dei superiori, dei fratelli, della comunità, della cucina. Se non si lamentano non vivono”.
C’è gente che è “amara” perché “non è capace di stringere nelle sue braccia” Cristo, è “amara” nella lamentela per le cose che non vanno “in un rigore che ci rende inflessibli e in atteggiamenti di pretesa superiorità”. Invece se accogliereremo Cristo a braccia aperte, accoglieremo anche gli altri “con fiducia e umiltà”. E allora, assicura Papa Francesco, “i conflitti non inaspriscono, le distanze non dividono e si spegne la tentazione di prevaricare e di ferire la dignità di qualche sorella o fratello”.