Marina Tomarro e Alessandro Guarasci – Città del Vaticano
Erano originari della Costa d’Avorio, della Nigeria, del Ghana, del Gambia e di altri Paesi dell’Africa occidentale, i migranti che viaggiavano sul barcone salpato da Zawya in Libia e che a causa delle pessime condizioni del mare si è rovesciato poche ore dopo. L’obiettivo era quello di raggiungere le coste italiane, dove speravano di ottenere un permesso di soggiorno per poter poi magari raggiungere qualche altro Paese europeo. L’Oim, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che hanno riportato la notizia, hanno riferito che i sopravvissuti hanno ricevuto cibo, acqua e cure mediche dal loro personale nel porto di Zwara, senza specificare però dove siano stati successivamente trasferiti. Secondo i dati ufficiali più di 1.200 migranti sono morti nel 2020 nel Mediterraneo, la stragrande maggioranza sulla rotta centrale, ma il numero effettivo di morti potrebbe essere molto più alto.
La necessità di un porto sicuro
“In questo momento le Ong che si occupavano del salvataggio di queste persone, non ci sono quasi più – spiega Flavio di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – quindi per quanto riguarda le acque internazionali, interviene la cosiddetta Star Libica che di fatto sarebbe sotto la gestione della Guardia Costiera Libica. Nel corso del 2020 ha riportato indietro tredicimila persone che è un numero enorme, ma il grosso problema è che questa gente è stata riportata in un Paese non sicuro, dove poi diventa vittima di abusi e violenze. Quindi bisogna assolutamente che l’Europa ricominci quanto prima con le operazioni di ricerca e soccorso in mare, e che siano più ampie possibile perché le persone continuano a morire. Per esempio oltre questi morti, l’altra settimana nessuno ha parlato del fatto che c’è stato un barchino partito della Tunisia che è stato ritrovato con a bordo una neonata morta di freddo. E una cosa del genere non è accettabile”.
L’appello del Centro Astalli all’Europa
Di fronte a questa ennesima tragedia dell’immigrazione, anche il Centro Astalli è tornato a chiedere con forza all’Europa l’evacuazione dei migranti dai campi di detenzione della Libia, così come delle isole greche e dei Balcani e soluzioni dignitose per tutti, senza derogare mai al rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali su migranti e rifugiati: “Ogni giorno ascoltiamo di torture e violenze nei racconti dei migranti che incontriamo al Centro Astalli”, ha dichiarato il presidente padre Camillo Ripamonti. “Dalla Libia le persone non hanno altra possibilità che tentare di fuggire: la situazione che descrivono è di un clima generalizzato di violenza e terrore. È evidente che c’è un problema molto serio di gestione delle frontiere da parte degli Stati europei e di un’inerzia intollerabile da parte delle istituzioni nazionali e sovranazionali – ha aggiunto padre Ripamonti -. Le isole greche, i Balcani, la frontiera della Spagna e il Mediterraneo centrale, pur essendo contesti giuridicamente diversi, sono sempre più luoghi di morte. Non è possibile continuare a ignorare l’ecatombe che si consuma alle porte di casa nostra”.
La mancanza di un vero disegno di accoglienza
Fondamentale quindi è il ruolo dell’Europa, per la gestione dell’accoglienza dei migranti. “È chiaro che l’Europa ha presentato un piano per l’asilo e le migrazioni che è ancora largamente incompleto e questo è stato detto da tutte le associazioni umanitarie – sottolinea Roberto Zaccaria presidente del Consiglio Italiano per i Rifugiati -, nel senso che non c’è la sensazione che l’Europa abbia un vero disegno che sia in qualche modo di accoglienza. Certamente qualche passo avanti c’è stato, ma noi dobbiamo tener presente che l’Agenda Europea per le migrazioni del 2015 è entrata in funzione nel 2016, ma non è mai stata attuata completamente”.