di Kurt Koch*
«Abbiamo bisogno di una “visione comune”, perché, se non saremo orientati verso uno stesso obiettivo, ci distanzieremo ulteriormente. Se intendiamo questo obiettivo in maniera opposta, allora, se siamo coerenti, ci muoveremo necessariamente in direzioni opposte». Con queste chiare parole, la Commissione mista romano-cattolica/evangelico-luterana, nel suo documento Vie verso la comunione del 1980, ha sottolineato la particolare difficoltà che incontriamo all’interno del movimento ecumenico in mancanza di un consenso sul suo obiettivo. Se i vari interlocutori ecumenici non hanno davanti agli occhi un obiettivo comune, ma comprendono e attuano in modo molto diverso ciò che caratterizza l’unità della Chiesa, corrono il forte rischio di avanzare in direzioni differenti e di scoprire alla fine di essere ancora più lontani gli uni dagli altri.
L’interpretazione controversa dell’obiettivo ecumenico
Anche dopo oltre quarant’anni di impegno ecumenico, questa chiara costatazione non ha perso nulla della sua attualità. Il rischio menzionato non è affatto diminuito negli ultimi decenni, poiché finora, tra le varie Chiese e comunità ecclesiali, non è stato possibile raggiungere un accordo realmente solido sulla natura dell’obiettivo del movimento ecumenico, e alcuni consensi parziali conseguiti nel passato in questo campo sono stati addirittura rimessi in discussione. Da ciò deriva la principale difficoltà dell’odierna situazione ecumenica. Nelle fasi precedenti del movimento ecumenico, da un lato è stato realizzato un consenso ampio e soddisfacente su molte tematiche che nel passato si erano rivelate controverse in merito alla comprensione della fede e alla struttura teologica della Chiesa. Dall’altro lato, però, la maggior parte delle divergenze che permangono sono tuttora legate alle diverse interpretazioni di unità ecumenica della Chiesa. In questa duplice realtà va indubbiamente ravvisata la sfida fondamentale dell’ecumenismo odierno, che può essere riassunta riprendendo la diagnosi fatta dall’importante ecumenista Paul-Werner Scheele, ex vescovo di Würzburg: «Si è unanimi sul fatto che l’unità è necessaria, e in disaccordo su cosa essa sia». Questa diagnosi ci spinge a domandarci quali siano i motivi della situazione attuale. Una ragione importante può essere individuata nella recente comparsa di nuovi partner di dialogo nel panorama ecumenico, tra cui in particolare i movimenti evangelicali, le comunità pentecostali e molte altre Chiese libere protestanti, che hanno portato a un’ulteriore pluralizzazione del concetto di obiettivo ecumenico. L’entrata in scena di nuovi interlocutori è uno sviluppo che va considerato in maniera positiva, come conseguenza del successo del movimento ecumenico. Dati il maggiore interesse e la maggiore partecipazione dei cristiani all’ecumenismo, i concetti di obiettivo, che erano già diversi all’inizio, si sono ulteriormente differenziati. Il rovescio della medaglia di questo fenomeno, di per sé positivo, è che l’obiettivo del movimento ecumenico è diventato, nel corso del tempo, sempre più confuso e, di conseguenza, non esiste quasi più un consenso su cosa sia quell’unità da ripristinare.
Il chiarimento del concetto di Chiesa e di unità della Chiesa
Appare allora evidente quale sia il motivo decisivo della controversia sull’obiettivo ecumenico. La pluralità dei concetti di obiettivo ecumenico esistente oggigiorno è dovuta in gran parte alle concezioni confessionali molto diverse di Chiesa e di unità della Chiesa, non ancora riconciliate. Ogni Chiesa e comunità ecclesiale, infatti, ha ed attua il suo concetto specifico di Chiesa e di unità della Chiesa, e si sforza di trasferire questa sua idea confessionale anche nel campo dell’obiettivo ecumenico, così che, essenzialmente, ci troviamo davanti a tanti concetti di obiettivo ecumenico quante sono le ecclesiologie delle varie confessioni. Ciò significa che la mancanza di un consenso sull’obiettivo del movimento ecumenico è dovuta in larga misura a una mancanza di intesa ecumenica su quella che è la natura della Chiesa e della sua unità. In questo contesto, dovrò limitarmi a presentare solo pochi elementi al fine di chiarire maggiormente il problema.
Come le Chiese ortodosse, anche la Chiesa cattolica, nel leggere i segni e i criteri dell’unità della Chiesa, prende come punto di riferimento la descrizione della vita della comunità di Gerusalemme fatta dagli Atti degli Apostoli (2, 42), dove tre aspetti appaiono come costitutivi dell’unità della Chiesa, ovvero l’unità nella fede, nel culto e nella comunione fraterna. Pertanto, la Chiesa cattolica è fedele all’obiettivo, originariamente condiviso, dell’unità visibile nella fede, nei sacramenti e nei ministeri ecclesiali. Questa forte enfasi sull’unità visibile è certamente dovuta anche al fatto che la Chiesa cattolica, in quanto comunità di fede mondiale che vive dell’interazione tra la molteplicità delle Chiese locali e l’unità della Chiesa universale, si preoccupa di mantenere e, ove necessario, di ripristinare l’unità nel proprio spazio vitale, sforzandosi quindi di trasporre il proprio ideale intra-cattolico di unità anche nel campo dell’obiettivo del movimento ecumenico. Non poche comunità ecclesiali nate dalla Riforma, invece, hanno in gran parte rinunciato al concetto dell’obiettivo ecumenico dell’unità visibile, all’inizio comune, e lo hanno sostituito con il postulato del reciproco riconoscimento delle diverse realtà ecclesiali come Chiese e quindi come parti dell’unica Chiesa di Gesù Cristo. È vero che ciò non implica una invisibilità fondamentale dell’unità della Chiesa; in tale prospettiva tuttavia, l’unità visibile consiste soltanto nella somma di tutte le entità ecclesiali esistenti. Questa difesa, da parte protestante, della molteplicità e della differenza è dovuta essenzialmente al fatto che la grande spaccatura avvenuta nella Chiesa d’Occidente nel XVI secolo ha comportato, nel corso della storia, un numero sempre crescente di divisioni, così che le Chiese e le comunità ecclesiali nate dalla Riforma si sono nel frattempo sviluppate in un pluriverso alquanto complesso e confuso, all’interno del quale vengono compiuti solo sforzi marginali nella direzione di una maggiore unità. Quanto finora brevemente accennato dovrebbe aver mostrato che la questione dell’obiettivo del movimento ecumenico non può essere posta semplicemente in modo astratto e neutro, poiché essa è sempre stata influenzata dai presupposti ecclesiologici delle varie confessioni. Tali presupposti sono infatti all’origine delle differenti posizioni ecumeniche, tendenzialmente in favore dell’unità (da parte cattolica), o tendenzialmente in favore della pluralità e di conseguenza della diversità (da parte protestante). Pertanto, se i diversi concetti di obiettivo ecumenico si basano su diverse ecclesiologie confessionali, è evidente che il chiarimento ecumenico dell’idea di Chiesa e di unità della Chiesa dovrà essere il tema centrale affrontato dai dialoghi ecumenici di oggi e di domani.
L’accento sui temi Chiesa, Eucaristia e ministero
Tale necessità si impone anche perché, soprattutto nel dialogo con le Chiese e comunità ecclesiali nate dalla Riforma, da un lato è stato possibile conseguire un ampio consenso su verità fondamentali della fede nella giustificazione — questione che aveva condotto alla Riforma del XVI secolo e successivamente alla divisione nella Chiesa − —ma, dall’altro, non sono state ancora chiarite le conseguenze di questo consenso per il concetto di Chiesa e per la questione del ministero ecclesiale. La stessa Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della giustificazione ha sollevato questioni che richiedono ulteriori chiarificazioni: «Esse riguardano, tra l’altro, la relazione esistente tra Parola di Dio e insegnamento della Chiesa, l’ecclesiologia, l’autorità nella Chiesa e la sua unità, il ministero e i sacramenti, ed infine la relazione tra giustificazione e etica sociale» (n. 43). In questo campo, dopo la firma della Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della giustificazione avvenuta ad Augusta nel 1999, sono stati raggiunti ulteriori consensi ecumenici. Tuttavia, molte questioni rimaste aperte sono connesse alla necessità di una più precisa comprensione del concetto di Chiesa, motivo per cui le implicazioni ecclesiologiche dei risultati finora raggiunti devono essere incluse tra i principali punti all’ordine del giorno nei vari dialoghi ecumenici. In concreto, ciò significa che dobbiamo innanzitutto pervenire a un consenso più profondo sui temi fondamentali di Chiesa, eucaristia e ministero, visti nel loro indissolubile legame. La riflessione su questi temi rappresenterebbe certamente un altro importante passo avanti sul cammino dell’intesa ecumenica, che potrebbe condurre alla messa a punto di una futura dichiarazione comune su Chiesa, Eucaristia e ministero analoga alla Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della giustificazione.
Con gratitudine possiamo costatare che diversi dialoghi ecumenici nazionali si sono già occupati di tali tematiche. Il dialogo luterano-cattolico negli Stati Uniti ha presentato una Declaration on the Way: Church, Ministry and Eucharist; e il dialogo nazionale in Finlandia ha pubblicato l’ampia e incoraggiante dichiarazione Communion in Growth sullo stesso argomento. Ora si tratta di spingerci ancora oltre, sulla base di questo utile lavoro preliminare. Se si giungesse a un consenso ecumenico vincolante sui temi di Chiesa, eucaristia e ministero, sarebbe compiuto un passo significativo verso la comunione ecclesiale visibile, che è l’obiettivo di tutti gli sforzi ecumenici anche nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e le Chiese e le comunità ecclesiali nate dalla Riforma. Un altro aiuto per approfondire la comprensione comune del concetto di Chiesa e di unità della Chiesa è offerto dallo studio della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese, dal titolo La Chiesa. In cammino verso una visione comune. Il documento si sforza di pervenire a una visione ecumenica della natura, dello scopo e della missione della Chiesa, e può quindi essere considerato come una preziosa dichiarazione ecclesiologica “in via” da un punto di vista ecumenico. Anche questo studio certamente meritevole non può, tuttavia, spingere l’intesa teologica sulla maggior parte dei temi finora controversi relativi all’ecclesiologia e alla teologia dei ministeri al di là della formulazione di questioni tuttora aperte. In questa direzione si deve continuare a lavorare per trovare nuove vie di riconciliazione tra le Chiese e le Comunità ecclesiali. Nella ricerca delle modalità in cui l’unità della Chiesa potrà essere ripristinata, dobbiamo considerare con la dovuta attenzione anche quei fattori che, nel corso della storia, hanno causato divisioni nella Chiesa e quindi la perdita dell’unità. Le circostanze e le ragioni delle divisioni in Oriente già nel V secolo e tra Oriente e Occidente nell’XI secolo sono molto diverse da quelle che portarono alla divisione nella Chiesa in Occidente nel XVI secolo. E differenti sono le condizioni e i motivi alla base della comparsa dei movimenti carismatici, evangelicali e pentecostali all’interno del protestantesimo mondiale nel XIX secolo. Poiché queste differenze storiche sono una ragione essenziale della diversità dei concetti di unità attualmente presenti nel movimento ecumenico, si devono anche cercare modi diversi in cui ritrovare e ricomporre l’unità perduta della Chiesa.
L’ecumenismo di fronte al vento contrario dello spirito pluralistico
Nello sforzo di ripristinare l’unità della Chiesa, l’ecumenismo si trova oggi di fronte a un’altra grande sfida che non può essere trascurata. Esso è esposto a forti venti contrari, a causa dello spirito pluralistico e relativistico che è ormai diffuso al tempo di oggi. Contrariamente alla tradizione del pensiero cristiano, in cui, secondo l’assioma teologico “ens et unum convertuntur”, l’unità era vista come senso e fondamento dell’essere in generale, il pluralismo è divenuto oggi il concetto fondante nella percezione di quella che viene chiamata l’esperienza postmoderna della realtà. Secondo il famoso saggio di Jean-François Lyotard, il postmoderno è quel pensiero che afferma con determinazione la pluralità, e che, con altrettanta determinazione, sospetta ogni realtà al singolare. Il presupposto di fondo della mentalità postmoderna è che non si possa e non si debba indagare col pensiero oltre la pluralità del reale se non si vuole essere sospettati di propendere verso un pensiero totalitario e che, piuttosto, la pluralità sia l’unico modo in cui la totalità del reale ci si mostra, se mai lo fa. Il rifiuto, per principio, del pensiero dell’unità è dunque un tratto precipuo del postmodernismo, che implica non soltanto l’accettazione e la tolleranza della pluralità, ma anche una propensione fondamentale verso il pluralismo. In questa mentalità postmoderna, ogni ricerca di unità appare come pre-moderna e antiquata. Un’ulteriore complicazione è rappresentata dall’influenza che la mentalità postmoderna dimostra di avere anche all’interno del pensiero ecumenico contemporaneo, manifestandosi in un pluralismo ecclesiologico divenuto largamente plausibile, secondo il quale la moltitudine e la diversità delle Chiese sono una realtà positiva, e ogni tentativo di ripristinare l’unità va guardato con sospetto. Si ha l’impressione che il pluralismo di Chiese e comunità ecclesiali, sviluppatosi nel corso della storia e ormai ampiamente diffuso, non solo sia in larga misura accettato, ma venga anche accolto in linea di principio, così che lo sforzo ecumenico di ricomporre l’unità della Chiesa è considerato non realistico e non auspicabile.
Questa tendenza è riscontrabile soprattutto in diverse correnti del protestantesimo liberale odierno. Essa parte maggiormente dal presupposto che, con la Riforma e con la successiva divisione nella Chiesa nel XVI secolo, sia iniziata finalmente quella pluralizzazione della cristianità latina che ha preso forma nella concorrenza permanente tra Chiese confessionali indipendenti, una pluralizzazione che, grazie al protestantesimo, ha reso il cristianesimo compatibile con la modernità e che non deve pertanto essere rimessa in discussione tramite una nuova ricerca di unità. La Riforma e il successivo scisma nella Chiesa non sono più considerati come una colpa e come una tragedia, ma come un successo e un progresso. Lo storico della Chiesa protestante Christoph Markschies ha attirato l’attenzione sul fatto che la “teologia liberale” ha difficoltà a rapportarsi con il movimento ecumenico, «perché il cristianesimo della Riforma è spesso inteso come un tipo specifico di religione, in linea con i tempi moderni, che è categoricamente separato dal resto del cristianesimo e non… come quella parte della Chiesa una, santa e universale che ha attraversato la Riforma, rimanendo però collegata a questa una sancta catholica ecclesia attraverso diversi elementi comuni e in forza degli orientamenti teologici della Tradizione».
Non è infrequente che si tenti di trovare nelle sacre Scritture una legittimazione teologica per la rinuncia alla ricerca dell’unità della Chiesa, ad esempio menzionando la tesi, più volte ripetuta, del teologo protestante neotestamentario Ernst Käsemann, con la quale egli ha cercato di giustificare anche le grandi divisioni nella Chiesa affermando che il canone neotestamentario fornisce un fondamento non all’unità della Chiesa, ma alla pluralità delle confessioni. Contro questa tesi, però, si deve innanzitutto sottolineare che è un’impresa anacronistica trasporre nel Nuovo Testamento la situazione odierna, sviluppatasi nel corso della storia, che vede Chiese e comunità ecclesiali separate e coesistenti, come ha osservato giustamente il cardinale Walter Kasper riferendosi alla tesi di Käsemann: «Per Paolo, una tale giustapposizione e un tale pluralismo di Chiese diverse e differenziate sarebbe un’idea del tutto insopportabile». Infatti, a trovare il suo fondamento nelle sacre Scritture non è la canonizzazione del pluralismo delle Chiese o addirittura l’accettazione delle divisioni, ma è la ricerca dell’unità della Chiesa.
Mantenere viva la ricerca dell’unità
Gli esempi citati mostrano che la ricerca ecumenica del ripristino dell’unità della Chiesa si svolge oggi in un contesto di pensiero molto diverso rispetto al passato, a livello spirituale e teologico, poiché la molteplicità e la diversità delle Chiese non è più considerata, o almeno non è considerata primariamente, in riferimento alle divisioni storiche e all’unità della Chiesa da ricomporre, ma è vista piuttosto come un arricchimento dell’essere Chiesa, maturato nel tempo. Per questo motivo, si hanno forti riserve nei confronti di quell’idea di unità secondo la quale la diversità delle Chiese, anche frutto di divisioni, non è percepita principalmente come ricchezza. Nella situazione ecumenica odierna siamo dunque spinti a ritornare, per così dire, alla riflessione sugli inizi. Senza la ricerca dell’unità, infatti, la fede cristiana rinuncerebbe a se stessa, come afferma con apprezzabile chiarezza la lettera dell’apostolo Paolo agli Efesini: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Efesini, 4, 4-6). Questo è espresso in maniera ancora più esplicita nella preghiera sacerdotale di Gesù, in cui, mediante l’unità dei suoi discepoli, la verità della sua missione si rende visibile agli uomini, e Gesù stesso viene “legittimato”, come sottolinea Papa Benedetto XVI: «Diventa evidente che Egli è veramente il “Figlio”». Le Scritture mostrano che l’unità è e deve rimanere una categoria fondamentale della fede cristiana. L’ecumenismo cristiano è quindi chiamato e tenuto ad avere il coraggio e l’umiltà di guardare in faccia lo scandalo tuttora esistente di una cristianità divisa, e di tenere desta con amorevole persistenza la questione dell’unità della Chiesa. Ciò è particolarmente vero in vista dell’XI Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, che avrà luogo l’estate prossima in Germania, a Karlsruhe, all’insegna del motto “L’amore di Cristo muove, riconcilia e unisce il mondo”. Poiché questo Consiglio, sin dalla sua istituzione, è stato mosso dalla volontà di promuovere l’unità, è opportuno ricordare, in vista della prossima Assemblea generale, quanto ha evidenziato Papa Francesco durante la sua visita a Ginevra il 21 giugno 2018, dichiarandosi “pellegrino in cerca di unità e di pace”: «Questa strada ha una meta precisa: l’unità. La strada contraria, quella della divisione, porta a guerre e distruzioni. Basta leggere la storia. Il Signore ci chiede di imboccare continuamente la via della comunione, che conduce alla pace. La divisione, infatti, “si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (Unitatis redintegratio, 1). Il Signore ci chiede unità; il mondo, dilaniato da troppe divisioni che colpiscono soprattutto i più deboli, invoca unità». Alla ricerca di questa unità siamo tutti chiamati: con passione e insieme con pazienza, pazienza che, secondo le profonde parole di Charles Péguy, è la «sorella minore della speranza».
*Presidente del Pontificio Consiglio
per la promozione dell’unità dei cristiani