Paola Simonetti – Città del Vaticano
Si fa sempre più grave la crisi sudanese, dopo il colpo di Stato militare dell’ottobre scorso e il successivo, mancato, tentativo da parte del reintegrato premier Hamdok di formare un governo di coalizione. Cresce il numero delle vittime fra i civili, nel contesto delle proteste di piazza, che mirano a rivendicare democrazia e libertà di espressione: ieri altre 7 persone sono state uccise, nella capitale, Karthoum, durante l’intervento delle forze dell’ordine, portando a più di 70 il numero dei morti civili nell’arco di tre mesi. A nulla sono valsi gli appelli di Unione Europea e comunità internazionale, che avevano invitato le autorità militari a interrompere l’uso della violenza contro i manifestanti. “L’Unione Europea – ha dichiarato l’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Ue, Josep Borrell – ha sostenuto fin dall’inizio le aspirazioni democratiche del popolo sudanese e lo farà in futuro con tutti i mezzi a sua disposizione. Chiediamo alle autorità militari di fare il massimo sforzo per allentare le tensioni”.
La missione Onu
Le Nazioni Unite hanno offerto, ai gruppi civili in campo, una mediazione per la conclusione dello stallo politico. Un invito accettato solo da uno degli schieramenti chiave pro-democrazia, mentre si intensificano i passi al livello regionale e internazionale per risolvere la crisi. L’inviato dell’Unione Africana, Bankole, ha intanto già avviato dei colloqui. Dal canto loro gli Stati Uniti hanno mandato due inviati a Khartoum “per ribadire la richiesta alle forze di sicurezza sudanesi di mettere fine alla violenza e rispettare la libertà di espressione e di riunirsi pacificamente”.
Incessanti le proteste della popolazione, che mira alla creazione di una colazione di governo a guida civile, che tenga fuori esponenti delle forze armate. Una richiesta di difficile attuazione lì dove la giunta militare tende a mantenere il potere e i privilegi economici finora acquisiti – spiega Marco Di Liddo, analista dell’area per il Centro studi internazionali -, proponendo alla popolazione delle concessioni di facciata. Privilegi, che la società civile voleva intaccare. In quetsa situazione si è inserito il colpo di Stato militare.
Il ruolo della comunità internazionale
“Certamente l’Onu farà del suo meglio per stabilizzare un Paese che da troppo tempo vive una crisi, per la quale i meccanismi interni si sono rivelati inconsistenti”. Ma cruciale sarà “la pressione della comunità internazionale – prosegue Di Liddo-. Un contesto non facile lì dove c’è una posizione nonm chiara dell’Unione Europea, che da un lato moralmente spingerebbe ad una democratizzazione del Sudan, dall’altro teme un altro “caso Libia”, con la necessità di stabilizzare velocemente il Paese, evitando di aprire un nuovo corridoio di flussi migratori. In questo scenario, fondamentale è il cammino verso un piano comune che possa portare ad un pano negoziale efficace”.