Debora Donnini – Città del Vaticano
Era parroco della chiesa di Sant’Antonio di Gulu, nella diocesi di Minna, padre John Gbakaan, ucciso il 15 gennaio scorso mentre stava rientrando, assieme al fratello, dalla città di Makurdi, nello stato di Benue, dove si era recato per andare a trovare la madre. Sulla via Lambata-Lapai, nei pressi del villaggio di Tufa, sono stati attaccati da uomini armati che il giorno successivo, sabato scorso, hanno chiamato la diocesi di Minna, chiedendo la somma di trenta milioni di Naira, poi ridotta a cinque, riferisce l’agenzia Fides. “Nel frattempo però – si legge – il corpo esanime del sacerdote è stato ritrovato legato a un albero nei pressi della strada dove è avvenuto il rapimento. P. Gbakaan sarebbe stato ucciso a colpi di machete, talmente violenti da rendere difficile il riconoscimento”. Nella boscaglia ritrovata l’auto sulla quale viaggiavano. Non si hanno, invece, notizie del fratello che sarebbe ancora nelle mani dei banditi.
L’insicurezza e la violenza
La conferma è stata data domenica dal parroco di Santa Teresa a Madala, padre John Jatau. Choc e dolore, intanto, si registrano nelle comunità cristiane della Nigeria. L’Associazione Cristiana della Nigeria, CAN, ha chiesto al governo federale e a tutte le agenzie di sicurezza di fare tutto il necessario per porre fine a rapimenti e uccisioni di esponenti religiosi da parte di banditi. “L’insicurezza nel Nord ha assunto una dimensione allarmante”, sottolinea il vicepresidente dell’associazione, Rev. John Hayab, secondo quanto riportato da Fides. “Molte persone vivono nella paura e molti giovani hanno paura di diventare sacerdoti o pastori perché la vita di questi è in grande pericolo”, prosegue spiegando anche che quando i rapitori si rendono conto che la loro vittima è un prete o un pastore, “sembra che uno spirito violento si impadronisca del loro cuore per chiedere un riscatto maggiore e in alcuni casi arrivano al punto di uccidere la vittima”. Anche sui social, secondo altre fonti di stampa, si è espressa vicinanza e preghiera per il sacerdote ucciso e la sofferenza per questo ennesimo atto di violenza verso preti e suore in Nigeria.
La liberazione del vescovo e l’appello del Papa
Una buona notizia, alcuni giorni fa, all’inizio del nuovo anno, è stata la liberazione del vescovo ausiliare della diocesi di Owerri, in Nigeria, monsignor Moses Chikwe, e del suo autista. Sono stati rilasciati dai rapitori che li avevano aggrediti e prelevati la notte del 27 dicembre vicino all’abitazione del presule. Papa Francesco, il primo dell’anno, all’Angelus aveva esortato a pregare per la loro liberazione, come per quella di “tutti coloro che sono vittime di simili atti, in Nigeria”, e perché “quel caro Paese ritrovi sicurezza, concordia e pace”. Una preghiera e un appello quanto mai importanti per questo Paese.
I cristiani doppiamente vulnerabili
“La dinamica persecutoria contro i cristiani in Nigeria e nell’Africa Sub-Sahariana in generale, prende vigore anche a causa alle restrizioni causate dal Covid-19, aumentando l’influenza tanto della militanza islamica violenta quanto di bande criminali di svariate tipologie”, dice ai nostri microfoni il direttore di Open Doors Italia, Cristian Nani, facendo riferimento al recente rapporto pubblicato dall’organizzazione. “Spesso sono quest’ultime – spiega – il primo attore della persecuzione, rapendo cristiani – meglio se sacerdoti e leader di comunità – e letteralmente vendendoli a gruppi terroristici come Boko Haram, se non chiedendo direttamente il riscatto alle famiglie. Secondo le nostre analisi, i cristiani sono bersagli privilegiati, doppiamente vulnerabili rispetto agli altri, poiché alla componente criminale si aggiunge quella religiosa”.
Secondo il report di Open Doors, presentato recentemente, sulla persecuzione anticristiana (World Watch List 2021), la Nigeria figura al 9° posto della classifica generale, che valuta non solo la violenza, ma anche la pressione/discriminazione, ma al 1° posto dei Paesi con la maggiore violenza anticristiana, “con un primato di oltre 3.500 cristiani uccisi e poco meno di un migliaio (990) rapiti nel periodo di esame del rapporto che va dal 1 ottobre 2019 al 30 settembre 2020”.