Tiziana Campisi e Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Sarà il “Trio per archi n. 2 in la minore” di Lorenzo Perosi ad aprire questa sera a Roma, alle 18, al Pontificio Istituto di Musica Sacra, l’anno dedicato all’illustre compositore e presbitero, dal 1902 al 1952 maestro della Cappella Musicale Pontificia Sistina, in occasione del 150.mo anniversario della sua nascita. Per ricordare il sacerdote piemontese, nato a Tortona il 21 dicembre 1872 e instradato alla musica dal padre Giuseppe – maestro di cappella del Duomo della città – con il Patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, del Pontifico Istituto di Musica Sacra e dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice per 12 mesi saranno proposti eventi, concerti, meeting e un nuovo cd del Coro della Cappella Sistina grazie ad un accordo con la Bam Music che ha riscoperto e pubblicato opere inedite e ha rilevato il repertorio editoriale del musicista.
La vita di don Perosi, tra arte e fede
Lorenzo Perosi, amò la musica come i suoi 5 fratelli. Si fece terziario francescano il 6 marzo 1887, l’anno dopo entrò al Liceo Musicale di Santa Cecilia di Roma, e iniziò a seguire un corso di studi, per corrispondenza, del Conservatorio di Milano. Organista all’età di 18 anni, fu maestro di canto all’Abbazia di Montecassino, che lasciò nel 1891 per motivi di salute. L’anno successivo si diplomò in contrappunto al Conservatorio di Milano, e continuò a studiare a Ratisbona. Era il dicembre del 1893 quando divenne maestro di cappella a Imola, l’anno seguente direttore della Cappella Marciana della Basilica di San Marco di Venezia. Nel 1895 venne ordinato sacerdote e tre anni dopo Papa Leone XIII lo nominò direttore perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina, carica che ricoprì fino alla morte, il 12 ottobre 1956. Ha uno sguardo appassionato sulla produzione di don Lorenzo Perosi il maestro monsignor Vincenzo De Gregorio, direttore del Pontificio Istituto di Musica Sacra, già direttore del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, che abbiamo intervistato:
Quale è stato il ruolo di don Perosi rispetto al mondo contemporaneo, quale impronta ha lasciato nella Cappella Sistina e di quale fede ha nutrito il suo repertorio?
Perosi ha lasciato un grande segno perché, intanto era una personalità sicuramente musicalmente dotata, già suo papà era maestro di cappella nella città natale, quindi lui ha assorbito la cultura musicale in famiglia, dove ha trovato terreno fertile. Inoltre, grazie al fatto che la sua esistenza si è mossa in grandi centri di cultura e di musica – studi musicali al Conservatorio di Milano, poi maestro di Cappella alla Basilica di San Marco a Venezia, e poi gli studi e il canto gregoriano a Montecassino dove decide di diventare prete – Perosi ha potuto assorbire professionalmente tutte le abilità e le capacità necessarie per intercettare la musica del suo tempo. Perché la grandezza di Perosi non sta solo nell’aver composto grande musica per la liturgia. Ha composto anche grande musica sinfonica e grande musica da camera. Ha frequentato infatti molto, come compositore, la famosa forma dell’Oratorio. Una forma che comincia ad affermarsi già nel medioevo, quando il dramma liturgico diventa per la Chiesa il mezzo di inculturazione e partecipazione del popolo alla bella musica su bei testi. Nel tempo poi l’Oratorio acquista forma narrativa: in fondo era teatro, teatro per la gente che, servendosi di testi sacri e non sacri, raccontava attingendo a piene mani dallo stile del tempo. E Perosi, anche con l’Oratorio, ha interpretato quello che stava succedendo alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento in Europa, cioè un gran fermento: la grande musica, le grandi svolte che vanno dal teatro melodrammatico italiano alla grande epopea wagneriana. Quindi evidentemente doveva essere un uomo molto curioso e attento, una sorta di carta assorbente per tutti gli stili e le novità che si stavano affermando in quell’epoca. Tutt’altro che chiuso, come lui si definiva, nelle vesti di un “povero prete”: è stato un personaggio dalla capacità artistica e dall’intelligenza musicale straordinaria.
In questo anno le sue musiche saranno protagoniste nei cinque continenti. Qual’è il filo rosso dei tanti eventi previsti in questo percorso perosiano?
Il filo rosso è costituito dai suoi luoghi natii e di appartenenza professionale, a cominciare da Tortona, sua città natale, con la diocesi in prima linea. Da qui la diffusione dei concerti e la loro risonanza sarà – ritengo – a pelle di leopardo nel senso che lì dove la sensibilità musicale, la frequentazione musicale è pratica quotidiana come nei paesi mitteleuropei, tutto diventa molto più semplice. Invece per noi in Italia dove la musica è negletta tra le proposte pubbliche, e la grande musica, la musica colta, non è il pane quotidiano, allora l’anno perosiano finirà per essere quasi un “incidente di percorso” che non scuoterà più di tanto gli appassionati, perchè non esistono le strutture musicali per farlo. Comunque Tortona darà inizio al percorso perosiano e poi insieme ci sarà la Cappella Sistina, avendola Perosi diretta fino alla morte nel 1956, e poi ancora, la Cappella Marciana di Venezia e tutti i luoghi cari al compositore.
C’è qualcosa che è stato amato di più di Perosi compositore e altro che invece non è stato abbastanza considerato?
Grazie al fatto che lui ha scritto tantissimo per la liturgia e, ovviamente scriveva in particolare per i seminaristi, per le voci pari, non c’è prete di una certa età che da giovane non abbia eseguito e cantato qualche Messa di Perosi. Quindi la più nota delle sue produzioni è quella liturgica, con le Messe in particolare. Ma il capitolo più rilevante della sua musica riguarda gli Oratori, che sono stati apprezzatissimi e stimatissimi. Io sono abbastanza vecchio, ma la mia vecchia maestra, Emilia Gubitosi, fondatrice della Scarlatti di Napoli, si faceva vanto, onore e merito di aver eseguito tutti gli Oratori di Perosi nelle stagioni sinfoniche dell’associazione Scarlatti napoletana, fino a ridosso della Seconda Guerra Mondiale.
Lei ha sottolineato giustamente il legame profondo con la Cappella musicale pontificia. Quale impronta ha lasciato il maestro Perosi nella Sistina?
Lì Perosi aveva un doppio compito: sia quello di dirigere il coro, quindi preparare la concertazione, le celebrazioni pontificie, sia quello di scrivere. E quindi aveva un grande vantaggio: poteva avere a sua disposizione lo strumento per il quale scrivere e questo creava ovviamente anche uno stimolo a scrivere tanto, perché aveva disposizione un magnifico coro di antichissima tradizione. La Cappella Sistina è la più antica istituzione musicale che ancora oggi esista senza soluzione di continuità. Ma teniamo anche presente che il contesto era del tutto diverso dal nostro. Il Papa non celebrava in San Pietro, le celebrazioni di piazza non esistevano e anche il pubblico era ridotto numericamente, niente a che vedere con oggi che le celebrazioni di massa impongono altri criteri ed esigono altre scelte. Dunque non possiamo non contestualizzare la figura di Perosi: volendolo valutare con i criteri di oggi e con le celebrazioni pontificie della Cappella Sistina di oggi, andremo fuori pista.
Cosa ci dice la sua musica di Perosi uomo di Dio, uomo di fede?
Ci svela una pietà solida: intendo una persona che dà spazio nella propria vita alla preghiera, all’aspetto della spiritualità, al legame con la vita della Chiesa, e Perosi da questo punto di vista era un uomo di una sensibilità e di una spiritualità immensa che ha riversato lì dove lui poteva riversarla, vale a dire nella musica. Da questo punto di vista Lorenzo Perosi per un verso presenta tutte le caratteristiche di un prete che cerca di rimanere nell’ombra. D’altra parte io credo anche che soffrisse in qualche modo perché le risorse interiori che aveva, le capacità compositive, non potevano non portarlo ad andare fuori dai suoi confini perché era un musicista talmente grande, talmente musicale che gli potevano sicuramente rimanere un po’ stretti i suoi compiti, quelli assolti nel corso della sua esistenza.
Un anno dunque, secondo lei, sotto tono in Italia, quello dedicato a Perosi. Cosa le piacerebbe invece che emergesse?
Noi abbiamo in Italia un tessuto connettivo che poco appare, che però è straordinario, a mio avviso, anche se ovviamente con tante diversità di situazioni. Si tratta del tessuto connettivo dei cori delle parrocchie, che in Italia sono oltre 22mila, e tanti sono cori attivi e professionali. Allora il mio auspicio è che ci sia un tentativo di fare corpo, di distribuire sul territorio iniziative incoraggianti e così rinverdire la storia meravigliosa di questa musica alla quale il maestro Perosi ha dato un grande impulso. Grazie a Perosi la bellissima musica della metà del Novecento è stata ascoltata in tutti gli angoli d’Italia, perchè dappertutto si cantavano le sue composizioni polifoniche, orchestrali e organistiche.
Quale può essere ancora oggi il messaggio della musica di Perosi?
Il problema è il linguaggio! Il linguaggio musicale di Perosi è sicuramente colto e come sempre, quando un linguaggio è veramente colto, è anche semplice e immediato. Andando a vedere bene penso che, ancora una volta, l’arte, anche la sua, ci parli di spiritualità. In fondo credo che la bella musica scritta da Perosi, per voci, cori e insieme, compia l’opera che è assegnata all’arte: alzare lo sguardo oltre l’orizzonte.