Debora Donnini – Città del Vaticano
“Vanità delle vanità, tutto è vanità”. La nota espressione rappresenta il filo conduttore del libro biblico del Qohelet che fa parte delle cinque Meghillot, cioè Rut, Cantico dei Cantici, Qohelet, Lamentazioni, Ester. Ed è su questo testo che intervengono, dopo il saluto del cardinale vicario Angelo De Donatis, il rav Riccardo Di Segni e il cardinale José Tolentino de Mendonça in un incontro a Roma in occasione della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Nel rispetto della normativa vigente, l’appuntamento non prevede la presenza di pubblico, ma sarà trasmesso in diretta televisiva su Telepace e in streaming sulla pagina Facebook della diocesi di Roma.
Al centro il Qohelet
Un testo, il Qohelet, scritto nel IV o III secolo A.C., posto quest’anno al centro della Giornata in cui la Conferenza episcopale italiana rinnova l’invito ad approfondire e a sviluppare il dialogo con gli appartenenti alla religione ebraica. Un appuntamento che si ripete dal 1990 e cade alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio). Un testo, poi, che attraverso la disamina della condizione esistenziale dell’uomo, segnata appunto dalla vanità delle cose terrene e a volte dall’ingiustizia, parla con particolare attualità in questo tempo di pandemia, con il suo carico di disillusione, morte e dolore. E anche l’esperienza del limite della scienza e della sapienza umana è apparso quanto mai attuale in questo periodo, senza tuttavia mettere fine alla ricerca del vero a cui aspira anche l’autore del testo.
Le visite dei Papi al Tempio Maggiore di Roma
Una Giornata, quella di oggi, che ricorre a 5 anni dalla visita di Papa Francesco al Tempio Maggiore di Roma. In quell’occasione, Francesco rimarcò l’importanza del decreto del Concilio Vaticano II che, disse, “con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: ‘sì’ alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; ‘no’ ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano. Nostra aetate ha definito teologicamente per la prima volta, in maniera esplicita, le relazioni della Chiesa cattolica con l’ebraismo”.
Tappa fondamentale era stata la visita al Tempio Maggiore di Roma compiuta da Giovanni Paolo II nel 1986 quando parlò dei “nostri fratelli prediletti” e “in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”. Quando ricordò la dichiarazione conciliare che “deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo da chiunque”.
Nel 2010, il 17 gennaio, vi andò
Quella di domenica è una Giornata che cade a cinque anni – era il 2016 – dalla visita di Papa Francesco al Tempio Maggiore di Roma. Quali sono i suoi ricordi della visita e anche delle parole del Papa?
R. – Quella visita è stata la terza visita di un Papa nella sinagoga di Roma cominciando con Giovanni Paolo II, poi c’è stato Benedetto XVI, poi c’è stato, cinque anni fa, Papa Francesco. È stata scelta concordemente questa data della visita perché era un momento appunto significativo nel cammino del dialogo. Il Papa nel suo intervento ha ribadito i temi fondamentali del rispetto, che sono stati ribaditi anche dai suoi predecessori e segnati in tanti atti ufficiali e del suo Pontificato. Quello che posso ricordare e che mi ha fatto una speciale impressione di quella visita, è stato il suo desiderio di comunicare con le persone, di stare vicino, di incontrarle una per una. Era significativo in quel momento il suo desiderio di non fare un corteo distaccato dal pubblico ma di passare in mezzo alla gente, parlare con ognuno, stringere la mano. Quindi è stato l’aspetto umano di questa visita che ha segnato qualche cosa di particolare.