Vatican News
A Damasco la vita appare normale, il traffico è quello di una grande città del Medio Oriente, la gente si attiva per recarsi sul luogo di lavoro, i mercati sono forniti, le botteghe numerose. Ma quello che si vede è solo una vetrina che non riflette necessariamente la realtà. Dopo anni di guerra, anche se questa non è finita e i combattimenti continuano nella provincia di Idlib nel nord del Paese, la crisi economica ha messo a dura prova i cittadini. Tutti i cittadini. Praticamente è scomparsa la classe media, ritrovatasi “povera” da un giorno all’altro. Per avere un’idea della situazione, sono sufficienti alcuni dati: lo stipendio medio di un dipendente statale è di circa 75.000 lire siriane. Un solo chilo di latte in polvere per i bambini costa 12.000 lire. Per un unico pieno di carburante servono 20.000 lire. Condizioni che hanno portato il 90 per cento della popolazione a vivere sotto la soglia di povertà e ha rubato la speranza a 17 milioni di siriani.
Proprio su questa speranza smarrita, risponde il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria da ormai 13 anni, che ha vissuto a Damasco tutto il periodo della guerra:
Questo mi colpisce molto e sono molto addolorato di vedere che sta morendo la speranza. Ho visto naturalmente con molta pena, con molto dolore, morire persone anche bambini durante la guerra ma dopo questa grave sofferenza la gente ancora coltivava un po’ di speranza; diceva che prima o poi la guerra sarebbe terminata e che si sarebbe potuto ricominciare a lavorare, per avere qualche soldo, magari riparare la casa e ricominciare una vita normale. Purtroppo questo non sta succedendo. In molte parti della Siria ormai non cadono più bombe, però è scoppiata una bomba terribile che, senza fare chiasso, colpisce inesorabilmente. Stando alle statistiche delle Nazioni Unite circa il 90 per cento della popolazione è costretta a vivere sotto la soglia della povertà. E a causa del venir meno della speranza, molti giovani cercano di partire e lasciare la Siria per trovare un’accoglienza e un futuro, una vita migliore in altre nazioni, e quindi anche questa è una disgrazia che si è abbattuta sulla Siria progressivamente privata delle sue forze migliori, perché coloro che emigrano sono giovani e giovani qualificati.
Alla guerra sono succedute la crisi economica e le sanzioni internazionali. Oggi ci sono spiragli che lascino intravedere la fine delle sanzioni?
Cerchiamo di mantenere la speranza anche se dovremmo affrontare ancora giornate dure. Certamente, questa situazione un giorno terminerà. Ma si constata che la ricostruzione e la ripresa economica non hanno ancora dato dei segnali, anzi, i segnali sono purtroppo di un muro contro muro. Questo è dato in particolare dalle sanzioni internazionali e poi anche da altre cause che contribuiscono al malessere della Siria, quali ad esempio, una corruzione crescente, in qualche caso il malgoverno. Poi è scoppiata la crisi libanese che ha colpito molto duramente la Siria; si è diffusa la pandemia e con essa altre crisi mondiali. Quindi un’ulteriore disgrazia capitata alla Siria è quella di essere stata abbandonata. Mentre fino a qualche anno fa avevo richieste di interviste da ogni parte del mondo, in questo ultimo paio d’anni, nessuno più pone domande sulla Siria. Mi hanno detto che quelle della Siria sono notizie che ormai giornalisticamente non si vendono più e questa è un’altra disgrazia per il Paese. Quindi ringrazio tutte le agenzie, specialmente le nostre agenzie anche cattoliche e cristiane che vengono in Siria per vedere, per parlare della situazione nel Paese, e per far sì che la Siria non sia dimenticata, per cercare di mantenere viva la speranza per quello che si può.
Lei è nunzio a Damasco da 13 anni, quindi conosce tutte le parti coinvolte, conosce molti rappresentanti della politica, ma anche delle altre nazioni presenti qui in Siria. In questo contesto, qual è l’impegno della diplomazia della Santa Sede?
Incontro diversi ambasciatori qui presenti anche se non sono molti in Siria. Incontro anche i rappresentanti dell’Unione Europea che hanno la residenza in Libano ma vengono di quando in quando, poi tutte le volte che vado in Europa, in Italia, cerco di parlare con le varie ambasciate e le principali ambasciate accreditate presso la Santa Sede per far presente questa situazione. Una situazione di povertà e di malessere che non può continuare, che deve essere risolta anche a cominciare dal grave problema delle sanzioni; abbattere questi muri perché quello che vedo sono muri, e da quello che posso un pò intravedere – perché la critica da sola non basta – bisognerebbe a mio modesto parere cercare di quasi quasi obbligare le tre capitali principali a fare qualche passo e qualche gesto di buona volontà. Quando parlo delle tre capitali intendo che la comunità internazionale dovrebbe agire su Damasco, su Washington e su Bruxelles perché ciascuna dia segni di buona volontà, in modo che possano cadere le sanzioni, possa ricominciare la ricostruzione e la ripresa economica. Sono dei piccoli passi ma altrimenti andiamo avanti muro contro muro. Chi soffre è la gente, la povera gente. Le statistiche rivelano che il 90 per cento della popolazione è costretta a vivere sotto la soglia della povertà. Qualche giorno fa il Programma alimentare mondiale (Pam) ha dato delle statistiche altrettanto impressionanti e tristi: più di 12 milioni di siriani, ossia il 60 per cento della popolazione, vive in situazione di insicurezza alimentare.
Eminenza, a marzo prossimo, anche sull’invito di Papa Francesco a camminare verso il Sinodo, convocherà tutti i vescovi e le agenzie caritatevoli presenti in Siria. Il tema è la sinodalità, ma si parlerà anche della coordinazione dei vari impegni della Chiesa a sostegno della popolazione?
Già dall’inizio del conflitto ho cercato di favorire un certo coordinamento tra le varie agenzie che sono venute qui immediatamente ad aiutare con buona volontà e con grande generosità. Mi ero reso conto, già dieci anni fa, della necessità di un certo coordinamento, almeno di conoscersi a vicenda, di sapere chi fa cosa. Però non ho trovato ancora il modo. E adesso che il Papa ha invitato tutta la Chiesa, e quindi anche la chiesa siriana, a lavorare, a camminare insieme sinodalmente, penso che un gesto molto bello sarebbe quello di crescere nel servizio della carità sinodalmente, cioè tutta quanta la Chiesa insieme. Quindi, il cardinale Leonardo Sandri (prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, ndr) che è stato qui un paio di settimane fa e ha visitato tutto il Paese, ha proposto ai vescovi di fare il punto un po’ sinodalmente sul servizio della carità, che, come dico spesso, qui è ben servita da varie organizzazioni che operano generosamente. Però c’è bisogno anche di mettersi insieme con gli altri per coordinarsi. I vescovi hanno accettato con molto piacere una conferenza di tre giorni, il 15, 16 e 17 marzo. Parteciperà la Chiesa siriana tutta intera: vescovi, clero, religiosi e religiose, laici impegnati, soprattutto nel servizio della carità, e tutte le agenzie siriane, internazionali che operano. Questo è molto importante. In dieci anni si è lavorato bene ma ciascuno con le proprie forze, quindi il tema del Sinodo sulla sinodalità del camminare assieme alla Chiesa, è un’occasione molto bella e opportuna, per camminare insieme in questo servizio della carità in un momento così difficile per la Siria.