Chiesa Cattolica – Italiana

76 anni delle Nazioni Unite. Caccia: l’Onu ha evitato situazioni drammatiche

di Davide Dionisi

Ne fa parte pressoché ogni nazione del mondo, 193 Paesi in tutto. Fondate il 24 ottobre 1945 da 50 nazioni impegnate, all’indomani della Seconda guerra mondiale, a preservare la pace e la sicurezza collettiva grazie alla cooperazione internazionale, le Nazioni Unite che domani compiranno 76 anni di vita, hanno l’obiettivo di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni, cooperare nella risoluzione dei problemi internazionali e nella promozione del rispetto per i diritti umani e rappresentare un centro per l’armonizzazione delle diverse iniziative nazionali. Con il tempo i conflitti internazionali sono stati speso sostituiti da guerre civili caratterizzate da tensioni politiche, economiche, etniche e religiose che  hanno comportato gravi crisi umanitarie e violazioni dei diritti umani. L’organizzazione è stata sempre più chiamata a pensare a nuove formule e strumenti per far fronte alle nuove crisi. Anche rivedendo se stessa, ipotizzando una riforma che la renderebbe ancora più democratica, più rappresentativa, più responsabile e più trasparente.

Ogni anno l’anniversario onora l’ampiezza storica degli obiettivi fissati nel 1945, ma in questi 76 anni quanta strada si è riuscita a percorrere per centrarli? «Penso molta, almeno nel senso di aver evitato di ripetere l’esperienza di 2 guerre mondiali, dagli effetti sempre più devastanti con il rischio di arrivare ad una autodistruzione con armi atomiche» spiega l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, Osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite. «In molti casi, le Missioni di pace dei Caschi blu hanno contribuito a fermare situazioni drammatiche e ridare speranza nel futuro. L’aiuto umanitario nei vari Paesi si è enormemente sviluppato portando sollievo alle popolazioni in luoghi altrimenti difficilmente raggiungibili. I pilastri della Carta delle Nazione Unite, pace, diritti umani, sviluppo, rispetto degli obblighi del diritto, rimangono tuttora essenziali, anche se devono essere applicati ad un mondo in rapido sviluppo, per molti aspetti nuovo rispetto a quello di 76 anni fa, quando furono sottoscritti».

La realtà spesso non è stata all’altezza delle aspettative e una visione angusta degli interessi nazionali non ha potuto spesso accordarsi con l’esigenza di compiere uno sforzo di conciliazione e di compromesso. In che modo è riuscita ad incidere la missione della Santa Sede?

Il rischio che prevalga l’interesse particolare o di alcuni membri accompagna la storia umana e anche quella di questa istituzione. La presenza della Santa Sede, proprio per la sua “cattolicità”, cioè la sua universalità costitutiva, è un forte richiamo a far prevalere sempre il “bene comune” come criterio discriminante nelle scelte che coinvolgono l’intera umanità.

Uomini, donne e bambini continuano a morire ingiustamente per le piaghe della fame e delle malattie, altri sono costretti ad abbandonare la loro terra di origine perché viene negato il loro diritto di uomini liberi. Cosa è mancato, secondo Lei, all’organismo per compiere quello che Papa Paolo vi definì «il passo obbligatorio per una moderna civiltà e per una pace mondiale»?

Mi sembra che la risposta più pertinente a questa domanda sia l’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti, che richiama ogni singolo, ma anche ogni realtà aggregativa a decidere di un atteggiamento di fondo di umana fratellanza e amicizia sociale.

La struttura del Consiglio di sicurezza riflette ancora oggi gli equilibri post bellici. Da anni si parla di riforma della governance. A che punto siamo? 

Quando fu creato il Consiglio di sicurezza rispecchiava la realtà dei vincitori del conflitto, ma anche il fatto che quei Paesi che ne facevano parte erano i detentori del 90% degli armamenti e quindi avrebbero avuto i mezzi per mantenere la pace. Il cammino di riorganizzazione è iniziato molto presto ed ha portato all’allargamento del Consiglio. Da anni vi sono diverse proposte per una ulteriore riforma, ma il cammino mi pare ancora lungo.

Soprattutto negli ultimi anni ci sono stati casi in cui agende nazionali hanno prevalso sulla ricerca dell’interesse comune, segnando di fatto battute d’arresto, facendo emergere frammentazioni. E ciò ha ridotto l’investimento globale nella cooperazione allo sviluppo. Come superare questa fase?  

Penso che una grande lezione sia venuta, purtroppo, dalla recente pandemia che in un modo drammaticamente nuovo e su scala mondiale ha fatto comprendere come a sfide globali si può rispondere efficacemente solo in modo globale. Lo stesso vale per i temi ambientali circa i quali si è oggi molto più sensibili e che richiedono, come ricordato anche dal Santo Padre nell’enciclica Laudato si’ l’impegno di tutti a tutti i livelli.

La pandemia è stata sicuramente la sfida che ha imposto un nuovo approccio delle Nazioni Unite, aggiungendo un argomento inedito nella sua agenda. Quanto e come l’Onu è riuscita a reinventarsi?

Le idee non mancano, la traduzione in pratica richiede riflessione, discernimento e decisioni operative. È un processo che richiede del tempo ed anche l’apporto di tutti i singoli membri. Molto si otterrà anche nella misura in cui ogni componente è pronto a fare un cammino proprio in sintonia con tutti gli altri, ma non esistono soluzioni che possano piovere dall’alto senza la reale partecipazione ed il contributo di tutti.

Lo stesso vale per la crisi climatica…

Ci sono, infatti, molte attese per la prossima conferenza Cop26 a Glasgow sia da parte degli Stati membri, sia da parte dell’opinione pubblica, grazie ad una maggiore sensibilità che guarda alla necessità di uno sviluppo che sia realmente sostenibile e che garantisca la vita delle nuove generazioni.

La pace e la cooperazione tra tutti i popoli, la salvaguardia della dignità dei diritti dell’uomo, la giustizia internazionale. Tali funzioni e obiettivi si sono realizzati grazie anche alla partecipazione alla vita della comunità internazionale della Missione della Santa Sede. Quali le prossime sfide?

In termini temporali, dopo la Conferenza delle Parti di novembre sul clima, ci sarà all’inizio del nuovo anno la Conferenza di Revisione del Trattato di non proliferazione nucleare, seguito poi dalla prima riunione degli Stati Parti dopo l’entrata in vigore lo scorso gennaio del nuovo Trattato di proibizione delle armi nucleari, che la Santa Sede è stata la prima a firmare e ratificare. Ma molti sono gli ambiti di lavoro: grande importanza sta assumendo tutto ciò che concerne il mondo digitale, con le sue potenzialità e i suoi rischi; il mantenimento dello spazio libero da armamenti; lo sfruttamento degli oceani; la biodiversità, e molto altro ancora, ma soprattutto una “ecologia integrale” che non dimentichi la dimensione umana e la dignità di ogni persona, che rimane il centro di ogni impegno che sia un vero servizio alla vita dell’intera famiglia umana e del pianeta.

Il 25 settembre 2015, nel corso dell’incontro con il personale dell’Onu a New York, Papa Francesco chiese di prendersi cura l’uno dell’altro, di rispettarsi, così da incarnare l’ideale dell’organizzazione di una famiglia umana unita, che vive in armonia, che opera non soltanto per la pace ma in pace; che agisce non solo per la giustizia, ma in uno spirito di giustizia. In che modo è stato raccolto l’invito del Papa?

Penso che tutti coloro che lavorano presso le Nazioni Unite sono consapevoli di dover rappresentare non solo gli “interessi” e le “politiche” nazionali, ma la voce dell’intera umanità ed in questo senso vi sono rapporti non solo rispettosi, ma cordiali e spesso veramente amichevoli tra le persone, che pur possono essere su posizioni diverse sui singoli argomenti. C’è la consapevolezza di trovarsi in un luogo speciale in cui convergono in maniera unica le voci del mondo intero e a favore del mondo intero.

Come è cambiato negli anni il ruolo dell’Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite?   

Mentre i principi di fondo e l’atteggiamento così bene espressi ed interpretati da san Paolo vi nel suo primo discorso all’Assemblea generale il 4 ottobre 1965 rimangono sempre validi, ogni Pontefice ha apportato priorità ed impegni legati al cammino della Chiesa pellegrina nel tempo, ma anche in linea con le proprie caratteristiche e sensibilità nei diversi momenti storici segnati dalle imprevedibili vicende del mondo. In genere però potrei dire che negli ultimi anni si è molto sviluppata anche nella diplomazia vaticana la presenza nell’ambito del cosiddetto “multilaterale” con un sempre maggior impegno di personale ed una accresciuta mole di lavoro.

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