Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Sono le ore 21 del 6 maggio del 1976. La terra in Friuli Venezia Giulia trema per 57 secondi. In pochi istanti, viene distrutto il profilo secolare di interi paesi. L’area colpita si estende per oltre 5.725 chilometri quadrati. Sono coinvolti 137 Comuni, tra i quali 98 in provincia di Udine. I morti sono 989 e gli sfollati più di 80 mila. Circa 15.000 lavoratori perdono il posto di lavoro a causa dei danni e dei crolli registrati nelle fabbriche. Nel giro di poche ore si mette in moto una imponente macchina della solidarietà. Migliaia di persone, civili e militari, cercano disperatamente segni di vita tra le macerie. A settembre nuove forti scosse fanno crollare quello che era rimasto in piedi dopo il sisma di maggio. Ma oltre alla potenza distruttiva dei terremoti si assiste ad un’altra forza potente: quella della ricostruzione. Gli alpini e numerosi altri volontari riparano migliaia di edifici. L’allora arcivescovo di Udine, monsignor Alfredo Battisti, riassume con queste parole il pensiero della Chiesa locale: “Vanno riparate prima le fabbriche, poi le case e poi le chiese”. All’indomani del terremoto del 1976 nasce la Caritas Diocesana di Udine per coordinare i numerosi volontari arrivati in Friuli da tutta Italia, e non solo, a sostegno della popolazione locale.
Il dolore di Paolo VI
Tre giorni dopo la scossa del 6 maggio, Paolo VI al Regina Caeli esprime il proprio dolore”. “Sentiamoci uniti – afferma il Pontefice – a quanti sono nella sventura, nel dolore, nell’indigenza, nella necessità”.
Il nostro cuore è come un sismografo, nel quale si ripercuotono tutte le vibrazioni dell’umana passione. Ma questa della nostra Carnia ci è ora più vicina, e perciò più sensibile; è il nostro «prossimo», che piange. Ebbene piangiamo insieme! Cominciamo così a scoprire qualche bene, e non mediocre, sia anche nel male che ci colpisce. Il primo bene è la solidarietà; il dolore si fa comunitario, e nel nostro abituale disinteresse, e nelle nostre contese egoiste ci fa sperimentare uno sconosciuto amore. Ci sentiamo fratelli, diventiamo cristiani, comprendiamo gli altri, esprimiamo finalmente l’amore disinteressato, solidale e sociale. E poi impariamo a «vincere il male nel bene» (Rom. 12, 21), cioè a far scaturire energie positive di bene dalla stessa sventura che ci affligge: «quando sono infermo», diceva l’Apostolo, «allora divento forte» (2 Cor. 12, 10). Parola degna per quella gente forte e buona, ora percossa dall’immane sciagura micidiale e devastatrice del terremoto; e degna altresì del nostro Popolo e della nostra civiltà cristiana, della nostra Gioventù specialmente, che conosce la prodigiosa fecondità del sacrificio, l’austera bellezza del dolore idealizzato. Oh! noi non vogliamo dire di più davanti ai lutti e alle rovine dalle dimensioni tragiche, che sembrano superare ogni misura e rifiutare ogni conforto. Vogliamo comprendere e raccogliere in silenzio riverente il grido ineffabile di questa acerbissima pena. Ma una parola non possiamo tacere per i cuori forti, per gli animi buoni: niente disperazione! Niente cecità del fato! La nostra incapacità a dare una spiegazione, che rientri negli schemi abituali della nostra breve e miope logica, non annulla la nostra superiore fiducia nella misteriosa, ma sempre provvida e paterna presenza della bontà divina, che sa risolvere a nostro vantaggio anche le più gravi e incomprensibili sciagure.
La ricostruzione
Due giorni dopo la scossa del 6 maggio del 1976, il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia mette a disposizione 10 miliardi di lire per la ricostruzione. Nel corso degli anni, il processo di rinascita avviato in Friuli diventa un modello di successo. Già dieci anni dopo il sisma, gran parte della riedificazione viene portata a termine. Il “modello Friuli” è un esempio di responsabile ricostruzione territoriale. Ricordando una così ampia opera, Papa Giovanni Paolo II il 26 ottobre del 1996 rivolge queste parole a pellegrini provenienti da Udine.
Il ricordo del terribile evento che colpì il Friuli nel 1976, mentre induce a pensare con affetto e cristiana speranza alle vittime di quel luttuoso evento, invita al tempo stesso a ringraziare il Signore per la felice ricostruzione, resa possibile soprattutto dalla nota intraprendenza e tenacia delle popolazioni friulane.
La testimonianza di una sopravvissuta
Dal 1984 Pieve Santo Stefano, quasi al confine tra Toscana, Umbria e Romagna, ha innalzato ai quattro punti cardinali del suo perimetro, sulle strade che vi accedono, un cartello giallo sotto quello della toponomastica ufficiale: “Città del diario”. La cittadina ospita infatti, nella sede del municipio, un archivio pubblico, che raccoglie scritti di gente comune in cui si riflette, in varie forme, la vita di tutti e la storia d’Italia: sono diari, epistolari, memorie autobiografiche. L’iniziativa ha attirato l’attenzione di studiosi e giornalisti anche fuori dall’Italia. L’Archivio, ideato e fondato da Saverio Tutino, serve non solo a conservare, come un museo, brani di scrittura popolare: vuole far fruttare in vario modo la ricchezza che in esso viene depositata. Un diario con quasi mezzo secolo di storia alle spalle è quello a cui attingiamo nella puntata numero 79 di Doppio Click, condotta da Andrea De Angelis. Ospite del programma è l’autrice, la signora Rita Alviani. La sua testimonianza ripercorre i momenti indelebili del sisma e successive pagine di vita.
Nel 1976 Rita Alvani ha vissuto i momenti drammatici del terremoto insieme con sua figlia. La vita l’ha chiamata ad esserne testimone come moglie e madre, in un mix di paura e necessario coraggio. Nelle pagine il racconto dei giorni più difficili, ma anche della ripartenza e della rinascita. Dal suo diario emergono anche parole di ringraziamento a coloro che l’hanno aiutata in quella drammatica circostanza, una situazione in cui si riscopre il senso più profondo dell’essere comunità e della prossimità, quella vera. Dal ricordo di quei giorni, attraverso la testimonianza di Rita Alviani, si deduce l’importanza della preghiera, fonte di sollievo e speranza dinanzi al dramma del sisma.
Una tragica lezione da cui imparare
Dal post terremoto del Friuli sono arrivate indicazioni su come costruire meglio e in luoghi più sicuri. Quella del 1976, come ricorda Alessandro Guarasci nella sua scheda, è stata una grande tragedia da cui l’Italia ha cercato di imparare.
Le case distrutte furono 18 mila, danneggiate 75 mila, i danni 4.500 miliardi di lire, ovvero circa 18 miliardi e mezzo di euro. Domenico Angelone, segretario del Consiglio nazionale dei geologi, sottolinea che in quel momento l’Italia era impreparata ad affrontare in modo efficace il rischio simico. Da quel tragico momento si sono succedute varie normative per dare impulso alla prevenzione sismica e rendere gli edifici più sicuri.
La puntata n.78 di Doppio Click è stata realizzata da Andrea De Angelis, Silvia Giovanrosa, Alessandro Guarasci e Amedeo Lomonaco.