Chiesa Cattolica – Italiana

30 anni fa iniziava la missione Onu nell’ex Jugoslavia

Marco Guerra – Città del Vaticano

“Creare le condizioni di pace e sicurezza necessarie per raggiungere una soluzione complessiva della crisi jugoslava”, questo lo scopo con cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 21 febbraio 1992, istituiva l’UNPROFOR (United Nations Protection Force), la Forza di Protezione per la ex Jugoslavia. L’Onu decise così di intervenire con truppe di interposizione nel conflitto che era scoppiato nell’estate del 1991 dopo che la Federazione Jugoslava, guidata dalla Serbia, era intervenuta contro le Repubbliche di Slovenia e Croazia che avevano proclamato la loro indipendenza da Belgrado.

Attiva fino al 1995

L’UNPROFOR è stata la prima forza di peacekeeping che ha operato sia in Croazia, sia in Bosnia ed Erzegovina, dove la guerra sarebbe dilagata nella primavera del 1992. Il 31 marzo 1995 l’UNPROFOR fu organizzato in tre operazioni di pace coordinate, che poi nel dicembre di quello stesso anno furono unite alla Missione IFOR della Nato. Questa aveva il compito di far applicare gli Accordi di Pace in Bosnia Erzegovina (meglio conosciuti anche come Accordi di Dayton), che sancirono l’attuale assetto istituzionale della Bosnia, composta dalla Federazione croato-musulmana e dalla Repubblica Srpska a maggioranza serba. L’UNPROFOR era composta da circa 39 mila uomini di eserciti di decine di Paesi diversi. 320 sono le vittime tra coloro che sono stati parte della forza di interposizione.

Srebrenica e il contingente olandese

La missione militare Onu è legata ad una delle pagine più sanguinose della guerra nell’ex Jugoslavia, poiché fallì nell’intento di proteggere Srebrenica, località della Bosnia dichiarata zona protetta con un’apposita risoluzione delle Nazioni Unite del 1993 e che, come tale, non poteva essere soggetta ad attacchi armati. La città fu invece teatro del massacro perpetrato l’11 luglio del 1995 dalle truppe serbo bosniache del generale Ratko Mladic, nel quale morirono più di 8000 uomini e ragazzi musulmani bosniaci. L’area era sotto tutela del contingente olandese dell’UNPROFOR che non intervenne, poiché, secondo la posizione ufficiale, le truppe Onu erano scarsamente armate e non potevano far fronte da sole alle forze di Mladic. Nel 2020 il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, in occasione delle celebrazioni del 25mo del massacro, ha detto che “le Nazioni Unite e la comunità internazionale non hanno difeso il popolo di Srebrenica”.

Borrell (Ue): molto preoccupanti le spinte secessioniste di Dodik

Ad oggi la Bosnia-Erzegovina resta un Paese con forti divisioni interne e con un indice di povertà tra i più alti d’Europa. La crisi bosniaca si accentua per le crescenti tendenze secessioniste della Republika Srpska (Rs), l’entità a maggioranza serba. Domani a Bruxelles la questione sarà al centro della riunione dei ministri degli esteri europei. “La situazione non è mai stata facile, ma ora le tendenze centrifughe sono davvero molto preoccupanti”, ha detto ieri a Monaco Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’UE per la politica estera, alla conferenza annuale sulla sicurezza. Il suo è stato un appello ai leader politici locali a impegnarsi per evitare la disgregazione del Paese balcanico. Nelle scorse settimane l’amministrazione americana ha annunciato nuove sanzioni a carico del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, che da anni sostiene il secessionismo spingendo per creare un proprio sistema di riscossione delle tasse, un sistema giudiziario e anche le forze armate. Gli Stati Uniti lo hanno accusato di corruzione che minaccia di destabilizzare la regione, minando l’accordo di Dayton che stabilì due entità di governo separate in Bosnia, in cui ogni azione a livello nazionale richiede il consenso di tutti e tre i gruppi etnici: bosniaci, serbi e croati. Dodik dice di essere ingiustamente preso di mira dagli americani mentre Borrell gli ha ricordato il dovere di partecipare alle istituzioni comuni del Paese.

Le nuove tensioni in Bosnia

Il modello della presidenza tripartita tra serbi, croati e musulmani non riesce a garantire l’unità e la stabilità del nazione. Proprio in questi giorni si sono verificate infatti nuove tensioni tra i principali esponenti delle diverse comunità. Venerdì il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, che è membro serbo della presidenza tripartita bosniaca, ha attaccato duramente il suo omologo Sefik Dzaferovic, membro bosniaco musulmano, accusandolo di collusioni con l’estremismo islamico e di aver appoggiato le formazioni di mujaheddin nella guerra di Bosnia del 1992-1995. Il giorno prima Dzaferovic – d’accordo con quanto deliberato dalla commissione esteri del Parlamento europeo – ha invitato il Consiglio europeo ad adottare sanzioni a carico di Dodik, ritenuto una minaccia per la pace. Milorad Dodik ha quindi polemizzato al tempo stesso con i parlamentari europei che, a suo avviso, non sanno quello che avviene in Bosnia-Erzegovina. Nei giorni precedenti il leader serbo-bosniaco si era scontrato anche con il terzo componente della presidenza bosniaca, il croato Zeljko Komsic, presidente di turno dell’organo collegiale, a proposito del Kosovo. Dodik aveva definito una ‘provocazione’ il messaggio di felicitazioni inviato da Komsic alla presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, per il 14mo anniversario della proclamazione di indipendenza dalla Serbia. La Bosnia-Erzegovina, proprio per l’opposizione della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba, non ha riconosciuto l’indipendenza di Pristina. L’altra entità, la Federazione croato-musulmana, è invece favorevole alla sovranità del Kosovo.

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